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CORRISPONDENZE DAL VENEZUELA
di Geraldina Colotti

3 agosto
Venezuela tra popolo e cifre
GERALDINA COLOTTI
CARACAS


Partiamo dalla notizia. Mercoledì, Antonio Mugica, direttore dell'impresa Smartmatic, convoca una conferenza stampa a Londra per denunciare che, a suo parere, i risultati emessi dal Consejo Nacional Electoral venezuelano (Cne) sul voto del passato 30 luglio per l'Assemblea Nazionale Costituente (Anc) “sono stati manipolati” e potrebbe esserci una differenza di almeno un milione di voti rispetto agli 8.098.320 comunicati: “crediamo che la data dell'elezione sia stata manipolata”, ha detto. 
Un giornalista della Bbc ha chiesto a Mugica se ne avesse parlato con il Cne. L'impresa lavora per l'istituzione venezuelana dal 2004 e da allora è diventata leader internazionale nel settore. Dopo una lunga pausa, Mugica ha risposto di no. Intanto, prima della conferenza stampa, 20 gerenti dell'impresa sono stati mandati fuori dal paese e la Smartmatic ha chiuso i battenti in Venezuela “fino a nuovo ordine”. 
L'impresa ha un ruolo di controllo tecnico, importantissimo per la sicurezza informatica, deve consegnare le password a tutti i contendenti e verificarle. Non ha però alcun'altra funzione, che spetta invece al Cne e agli osservatori di parte e altra. E su questo punto si basa l'affermazione di Mugica, arrivata prima del conteggio definitivo del Cne e basata soprattutto sull'assenza dell'opposizione alle verifiche previe del processo elettorale.
Anziché buttarsi a pesce sull'amo, conviene intanto porsi alcune domande. Perché un imprenditore che ha fatto fortuna in Venezuela decide di intervenire in questo modo, screditando non solo il Cne ma anche il proprio sistema informatico, finora ritenuto impermeabile? Perché decide di farlo un giorno prima che venga installata l'Anc? 
Alcuni dati portano a riflettere: intanto le sanzioni imposte dagli Usa alla presidente del Cne, Tibisay Lucena. La presidente ha affermato di non avere conti negli Usa, ma ha denunciato che sono stati bloccati anche i conti di diversi server che lavorano con il Cne. Quali pressioni ha ricevuto Mugica? Difficile credere che, di fronte agli interessi economici in ballo, la sua sia stata una spinta etica. Quanto gli hanno offerto per “suicidarsi”? Sembra il film con il pugile ricattato prima della partita decisiva del campionato.
A nome del Comando Zamora 200, Jorge Rodríguez ha chiesto al Cne di completare al più presto la verifica e il riscontro del 100% delle schede. E ha aggiunto: “Secondo i nostri calcoli, oltre 2 milioni di persone non hanno potuto recarsi ai seggi nonostante tutti i loro sforzi a causa delle violenze promosse da alcuni settori di opposizione”. E a breve dovrebbe essere fissata la data per lo svolgimento delle elezioni nei 5 municipi degli Stati Tachira e Merida, dove i “guarimberos” hanno impedito il voto con machete e fucili. 
La valutazione del Cn – che ha denunciato Mugica ai tribunali - coincide con quella della Ceela. Forse si conosce poco l'esistenza della Ceela, che sta per Consejo de Expertos Electorales de Latinoamérica. Un'organizzazione di esperti (prevalentemente alti magistrati, giuristi e tecnici) specializzata nell'osservazione delle consultazioni elettorali dell'America latina. Il loro rapporto, preciso e dettagliato, ratifica la pertinenza costituzionale della convocazione, entra nel merito della giornata elettorale, preceduta dalla simulazione del 16 luglio: lo stesso giorno in cui l'opposizione ha svolto il suo “plebiscito” parallelo, senza il supporto del Cne, dentro e fuori il paese. Il voto dell'Anc ha invece chiamato alle urne solo i venezuelani residenti nel paese. 
Traduciamo qui il punto 7 e 8 della relazione Ceela: “Dal punto di vista tecnico-elettorale - cifra del Ceela e dei suoi componenti, che non sono politici – affermiamo di credere totalmente e assolutamente nella certezza dei risultati del voto per l'Assemblea Nazionale Costituente, date tutte le garanzie offerte durante il processo elettorale, specialmente durante le verifiche preliminari, e inoltre dall'affidabilità e dalla sicurezza che offrono sia la macchina elettorale che il dispositivo di autenticazione integrale Capta Huellas (le impronte, la certificazione dei dati biometrici, ndr). Per questa Missione, la verifica sui voti depositati che si fa durante lo scrutinio, costituisce una garanzia per la fiducia nel risultato presentato dalla Presidente del Cne”. 
Segue il punto 8: “A giudizio della Missione, è stato molto positivo il percorso di verifica del processo elettorale, esteso alla piattaforma tecnologica del Consejo Nacional Electoral. La verifica delle componenti automatizzate che supportano le differenti funzioni del processo elettorale hanno permesso di avere la certezza che il sistema elettorale venezuelano, e specialmente il sistema automatizzato di voto è affidabile, trasparente e sicuro e garantisce l'inviolabilità e invulnerabilità del suffragio”. 
La Commissione certifica poi le procedure del voto automatizzato, i suoi tempi rapidissimi, l'efficiente organizzazione della giornata elettorale nonostante il clima di assedio imposto dalle destre e le periferie affrontate dagli addetti ai seggi e dai votanti. Dice: “Nonostante la situazione politica e sociale che ha preceduto e circondato lo sviluppo delle elezioni, è risultato evidente l'alto livello di partecipazione cittadina, constatata dalle cifre offerte nella notte dello stesso giorno del voto dalla Presidente del Consejo Nacional Electoral, Tibisay Lucena. Alle 23, quando rimanevano aperti ancora alcuni seggi e pur mancando i risultati delle elezioni indigene, la Presidente ha annunciato una partecipazione del 41,53% per un totale parziale di 8.098.320 votanti”. 
Per i competenti e i cultori delle procedure, il sito del Cne offre tutti i dettagli, che anche noi abbiamo seguito nei giorni delle elezioni, trovando risposta a tutti i dubbi del profano.
Nelle 20 elezioni che hanno preceduto quella sull'Assemblea Nazionale Costituente domenica 30 luglio, c'erano esperti e “osservatori” provenienti da tutto il mondo. E persino l'ex presidente Usa Jimmy Carter rilasciò numerose interviste in cui riconosceva quello venezuelano un sistema elettorale altamente automatizzato, a prova di frodi. Vale ricordare che, a dicembre 2015, quando si sono svolte le legislative vinte dall'opposizione, c'erano centinaia di osservatori maldisposti, invitati dalle destre: pronti a gridare alla frode se avesse vinto il chavismo. 
Una tattica messa in atto dall'opposizione ogni volta che il risultato non la favoriva. Nessuno di quegli osservatori internazionali ha mai contestato le elezioni venezuelane, né l'autorità del Consejo Nacional Electorale. Il Cne è uno dei 5 poteri (Legislativo, Esecutivo, Giudiziario, Cittadino ed Elettorale) contemplati nella Costituzione bolivariana e governati nel loro equilibrio dal Tribunal Supremo de Justicia (Tsj). 
Del Cne si è sempre servita l'opposizione per le sue primarie. Le ispezioni del sistema elettorale, pre e post voto sono molto accurate, pubbliche e certificate. Ogni partito può chiedere di visionare gli “scontrini” che la macchina fornisce dopo il voto elettronico autenticato dall'impronta della votante o del votante e dal documento con certificato elettorale. Vengono raccolti nei vari centri, consegnati alle Forze armate e poi condotti in un centro unico dove vengono conservati per tutto il periodo previsto. 
Una pratica ben diversa – sia detto per inciso – da quella utilizzata dalle destre nel loro strombazzato “plebiscito” che si è svolto fuori dalla legge, e in cui hanno votato anche i canguri (in Australia) presumibilmente fiondandosi sulle urne come siluri. Subito dopo il voto, le destre hanno bruciato le schede: per “motivi di privacy”. 
E ieri si è aperta un'altra crepa nell'alleanza di opposizione – la Mesa de la Unidad Democratica (Mud). Ramos Allup, capo del partito Accion Democratica (Ad, il centrosinistra della IV Repubblica) nonché vicepresidente dell'Internazionale socialista, ha annunciato che il suo partito parteciperà alle elezioni regionali e comunali, che si terranno a dicembre. I candidati devono iscriversi in questi giorni. Dunque, il Cne continua a essere affidabile. E perché prima no?
Allup ha dato così il benservito al “governo parallelo” voluto dalle ali oltranziste (Primero Justicia di Capriles, Voluntad Popular e contorni), che lo hanno già attaccato pesantemente per voce del presidente del Parlamento Julio Borges.
Dietro il dato procedurale, la partita è politica e va letta a tutti i livelli in cui si svolge. Nel campo della borghesia, c'è lo scontro di poteri per il controllo interno e per i finanziamenti esterni. Il principale fautore della via violenta, Leopoldo Lopez (Vp) è tornato in carcere insieme all'ex sindaco della Gran Caracas, Antonio Ledezma: per aver trasgredito gli obblighi previsti dalle misure alternative di cui godevano. Diversi dirigenti oltranzisti sono partiti per Miami per timore di conseguenze legali. 
Su Lopez – che per Wikileaks ha da anni il pedigree del perfetto uomo Cia – puntavano principalmente gli Usa. Ma l'intelligente azione politica del chavismo è riuscita a depotenziare le violenze, riportando lo scontro sul terreno politico. Lunedì, la Casa Bianca ha definito per la prima volta Maduro “dittatore” e gli ha imposto sanzioni. Il giorno dopo, però, l'incaricato del Dipartimento di Stato per il Sudamerica, Michael Fitzpatrick, ha dichiarato che gli Usa non riconosceranno nessuno “stato parallelo”. 
Ramos Allup ha pronunciato quasi le stesse parole contro i suoi compari di coalizione che l'hanno invece promossa con l'avallo della “comunità internazionale”. Il messaggio è chiaro: no all'Anc (no allo “stato dei soviet” come vorrebbe la parte più avanzata del socialismo bolivariano), ma anche no all'inaffidabilità di certe componenti di opposizione. In campo, c'è anche l'opzione di una grigia e sempiterna spartizione di potere. Allup è una vecchia volpe della IV Repubblica, animata dall'alternanza tra centrodestra e centrosinistra con l'esclusione dei comunisti. 
Maduro ha annunciato che il Venezuela avrà di nuovo un rappresentante all'Osa e ha nominato Samuel Moncada, attuale ministro degli Esteri. Al suo posto va Jorge Arreaza, che finora è stato a capo del Ministero dello Sviluppo minerario ecologico. Il Venezuela ha di recente deciso di lasciare l'Osa dopo i ripetuti tentativi del suo Segretario generale, Luis Almagro di imporre sanzioni a Caracas. La procedura, però, richiede due anni.
Come reagiranno ora i pasdaran del “modello siriano” nell'Unione europea? Il Venezuela bolivariano, oltre che un ghiotto boccone geopolitico per le sue immense risorse, è anche un motivo di scontro per le diverse politiche interne ai paesi: anche in Italia, dove le grandi questioni lasciano il posto alle piccinerie politiciste che “appassionano” solo chi le promuove. Ogni volta che in un processo elettorale si affaccia un progetto che lascia ventilare la possibilità di riforme strutturali, si scatena la corsa alla dissociazione dal chavismo, nuovo spettro che si aggira anche per l'Europa. Per questo, la corsa è a chi le spara più grosse, in sprezzo alla logica, all'intelligenza: i “comunisti” continuano a... mangiare i bambini, anche quando cercano di non finire in bocca alla balena.
Lo scontro interno ai blocchi di potere che compongono la borghesia venezuelana, gli affari delle grandi famiglie e delle imprese, riflettono scontri e interessi in campo nello scenario internazionale ora multipolare. Interessi economici e speculativi che muovono i corsi della moneta come il sito Dollar Today, fondi avvoltoio che incombono sul Venezuela per impadronirsene e indebitarlo per generazioni, come hanno fatto con l'Argentina tornata a destra.
Oltre il dato procedurale, c'è però soprattutto il campo della politica progettuale, quello dello scontro di classe fra due modelli di paese. Il socialismo bolivariano ha deciso di “resettarsi”, di fare la muta per liberare dalle scorie l'essenza prospettica. Ieri, un giornalista tedesco osservava sgomento la variegata composizione degli eletti dall'Assemblea Costituente, giuramentati da Maduro: “l'agorà” di Guaicaipuro e di Toussaint Louverture. Il potere popolare originario, che ha animato la Comune di Parigi e che scommette di scompaginare i termini del discorso capitalista. L'Anc si installerà domani venerdi, e anche la Mud ha spostato a domani la prevista manifestazione di oggi. 
Quella della Anc è una partita complessa nella quale un campo cerca di spostare in avanti i rapporti di forza tra le classi a favore dei settori popolari, di ridefinire anche un nuovo blocco sociale anticapitalista. Non è detto che ce la faccia e che non finisca per essere impastoiato nella ricerca di nuovi equilibri spartitori e di potere. Con l'Anc, la “rivoluzione bolivariana” mette le grandi questioni alla prova della realtà concreta, per superare la porta stretta della democrazia borghese. Cercando di non rimanervi incastrata.

2 agosto
Venezuela, i miracoli delle fake news
GERALDINA COLOTTI
CARACAS
Ieri sera eravamo nello storico quartiere 23 Enero, che ospita diverse comunas e spazi autogestiti e la radio comunitaria Al Son del 23. Con noi in trasmissione, oltre a Gustavo – il conduttore – a due giovanissime compagne basche, una giornalista spagnola, tecnici efficientissimi appena adolescenti, c'era l'intellettuale messicano Fernando Buen Abaad, uno degli accompagnatori del processo elettorale per l'Assemblea Costituente: che ha certificato al chavismo oltre 8 milioni di voti e la percentuale più alta mai raggiunta in base al numero di abitanti attuale. Ne abbiamo parlato ieri nell'intervista alla redazione dell'Antidiplomatico.
Buen Abad, autore del volume Filosofía del Humor y de la Risa, ha proposto di accompagnare il percorso dell'Assemblea Costituente con un programma di satira basato sulle sparate dell'opposizione e del circo mediatico che le sostiene. Ci è sembrata un'ottima idea. 
Se esistesse ancora la satira in un paese come l'Italia, un tempo patria di geni in questo campo, la trasmissione potrebbe chiamarsi “falsos amigos”, falsi amici: nel senso di quelle parole che sembrano indicare una cosa, ma il loro significato è spesso opposto. Nel senso di quelle “persone” la cui maschera critica-critica nasconde il loro ruolo di pompieri, dispensatori di polpette soporifere nell'eterno balletto del “né-né” ( i “ni-ni” in spagnolo). Uno schemino ben consolidato, soprattutto in una certa sinistra, abituata a svicolare eternamente dalla propria impotenza. La bandiera del ni-ni è adesso Marea Socialista e sue codine contigue. Ex personaggi di governo – uno dei quali denunciato per corruzione – che si ritengono assolti dagli errori imputati al governo. Una formazione tanto critica quanto sterile, che strepita contro l'Assemblea Costituente ma non disdegna di allearsi con le destre golpiste. Chi non sta né da una parte né dall'altra della barricata – ha scritto qualcuno – finisce per essere la barricata. 
La bandiera della critica-critica risulta essere adesso quella dell'”arco minerario”. Fior di reporter in poltrona, accademici che non hanno mai conosciuto un indigeno in vita loro, né tantomeno condizioni di bisogno, pontificano su questa zona ricchissima di risorse, che Maduro avrebbe consegnato alle multinazionali. Addirittura istituendo “zone economiche speciali” sul modello dell'Honduras. 
Il pronunciamento delle popolazioni indigene, che hanno appena eletto i loro 8 rappresentanti all'Anc secondo le proprie procedure secolari, ovviamente, non esiste. Conta il parere degli europei “ongizzati” nel cui sguardo caritatevole deve rispecchiarsi l'indigeno “che piace”. Sono loro i giudici assoluti. Le popolazioni indigene, le loro assemblee, il controllo che esercitano sul loro territorio grazie al potere agito nel “proceso” bolivariano, non conta. A settembre, al culmine di un processo assembleare che le ha portate tutte a Miraflores, le 35 popolazioni indigene hanno consegnato a Maduro i loro simboli, per testimoniare la fiducia nelle proposte ricevute. Da tanti anni, i loro territori sono preda dello sfruttamento illegale, dei paramilitari, che imperversano con la complicità di chi dovrebbe controllare e anche di alcuni cacicchi. L'inquinamento è altissimo è danneggia prima di tutto chi è più vicino alle risorse naturali.
Sono gli indigeni i primi a chiedere che venga regolata quella situazione: non con la bacchetta magica degli stregoni da tastiera, ma esaminando nel concreto costi e ricavi. E tocca a loro farlo. Le zone economiche speciali, istituite in modo pubblico e trasparente, sono effettivamente un invito alle imprese a investire in Venezuela sulla base di alcuni sgravi fiscali. Questo però non implica deroghe rispetto alle leggi del lavoro e a quelle dell'ambiente. Gli operai, qui, contano davvero. E si fanno sentire.
Oltre a petrolio e metalli preziosi, il Venezuela possiede uno straordinario patrimonio ambientale. E' il secondo paese dopo il Brasile per riserve di acqua. La difesa dell'ambiente, nell'ambito di un nuovo modello di sviluppo che implica la lotta contro il capitalismo, è un punto centrale nel “programma strategico” del governo bolivariano. Proprio grazie al protagonismo dei popoli indigeni nel nuovo corso di governi dell'America latina, ogni anno i nativi elaborano le loro proposte in numerosi forum, che poi i governanti – per il Venezuela prima Chavez e poi Maduro – portano ai vertici mondiali, riempiendoli in parte di contenuti.
Abbiamo sentito diversi candidati operai e ambientalisti, di cui daremo conto in questi giorni: che formulano critiche anche radicali al governo, ma con cognizione di causa. L'Anc è il luogo per farlo. L'obiettivo dichiarato è quello di “liberarsi dello stato borghese e costruire lo stato socialista. Stiamo riscrivendo la storia. Non torneremo mai a essere una colonia”, ha detto il leader operaio Francisco Torrealba, rigettando le “sanzioni imperialiste” imposte da Trump a Maduro. La costruzione di “un nuovo modello produttivo” è uno dei principali obiettivi dell'Anc. 
Contro le “sanzioni imperialiste che vogliono sottomettere il paese” si sono schierate tutte le istituzioni della Repubblica bolivariana, a partire dal Tsj e dalle Forze Armate. Domani 3 agosto si installa l'Anc in Parlamento. Le destre hanno annunciato una nuova manifestazione. Ieri alcuni ambasciatori dei paesi neoliberisti che non riconoscono l'Anc si sono recati a sostenere i deputati di opposizione, tra i fischi della folla. 
Intanto, media e opposizione continuano a produrre materiale satirico. Basta scorrere i titoli, capovolgendone il senso drammatico: le schede elettorali che non vengono bruciate ma “prendono fuoco” come le bombe che esplodono al passaggio della polizia. L'opposizione che spara numeri in spregio alla logica e che distrugge le prove di voto subito dopo aver concluso il “plebiscito” illegittimo del 16 luglio, che viene presa a esempio di imparzialità. Il Cne che ha gestito 20 elezioni prima di questa, certificate da centinaia di osservatori internazionali, che invece viene screditato: tanto chi va a vedere le regole? 
Basta spararle grosse. Chiunque, qui, può richiedere il controllo del voto. E a dicembre vi saranno le elezioni per i governatori. Che farà l'opposizione? Se non ci va, lascia il campo libero, ma se ci va avalla l'autorità del Cne. E allora perché ora la disconosce? Ma nella costruzione della “post-verità”, tutto fa brodo. Prima di partire per Miami, Lilian Tintori, moglie di Leopoldo Lopez, ha dichiarato di essere incinta: di 16 settimane. Ma in che modo se ha passato i mesi a gridare che suo marito era torturato e represso, e tenuto in isolamento dal “rrregime”? Ben presto, la canonizzazione della fake-news per eccellenza...

31 luglio
La cronaca di oggi sul risultato elettorale di questa notte
ASSEMBLEA COSTITUENTE, VICTORIA POPULAR
GERALDINA COLOTTI
CARACAS
“Chavez per sempre, ora la Costituente”. Nelle file ai seggi c'è sempre chi fa musica, balla, ritma gli slogan. Una splendida ragazza afrovenezuelana danza e canta con una voce vibrante. Siamo all'interno del Poliedro, il grande spazio per gli eventi ora adibito a seggio elettorale. E' uno dei 14. 515 seggi elettorali previsti per votare i 537 esponenti dell'Assemblea Costituente, più gli 8 rappresentanti indigeni che verranno decisi domani 1 agosto secondo le modalità comunitarie dei nativi. Questo seggio “addizionale” è stato allestito in emergenza, per consentire ai cittadini che vivono nelle zone colpite dalle violenze dei “guarimberos” di votare in sicurezza. Per questo è stato dichiarato perimetro sensibile per 500 metri. 
Le forze armate lo presidiano, i funzionari del Consejo Nacional Electoral (Cne) forniscono informazioni e supporto a chi è venuto qui pensando di poter votare comunque anche se risiede in un altro comune. Invece qui può votare solo chi abita nell'est di Caracas: i quartieri benestanti, focolaio delle violenze che durano da tre mesi e che hanno provocato 116 morti. Ma in molti vogliono votare qui, pensano che il Poliedro sia un seggio per tutti. Alla fine firmano un registro testimoniale, che non ha valore ai fini del voto, ma che comunque dà conto dei 1500 testardi che non se ne sono voluti andare. 
Verso la mezzanotte, la presidente del Cne, Tibisay Lucena, leggerà i risultati della giornata elettorale, la cui chiusura si è protratta fino alle 19 e molti seggi hanno dovuto attendere per le molte persone in coda. Diversi centri, come il Poliedro, hanno tardato ad aprire per i ritardi dei presidenti dei seggi, ma la gente è rimasta in coda.
Intorno a Tibisay, le altre 3 dirigenti dell'organismo, particolarmente preso di mira dalle destre che ne disconoscono l'autorità. Hanno votato – dice - 8.089.320 persone: il 41,53 % degli aventi diritto (19,5 milioni) su una popolazione di 30.620.404 persone. Il sistema altamente informatizzato è stato nuovamente giudicato a prova di frodi dal gruppo di osservatori internazionali, che ha rilasciato una articolata dichiarazione. Eppure le destre hanno subito respinto i risultati del voto, sostenuti dalla “comunità internazionale”: che aveva invece avallato gli oltre 7 milioni di voti, sparati a tempo di record e a dispetto della stessa logica dopo il “plebiscito” organizzato dalle destre senza il Cne e senza controllo legale. Oltre agli Usa e alla Ue, che minacciano di estendere le sanzioni al Venezuela, 8 paesi - Argentina,Cile, Perù, Colombia, Brasile, Messico, Costa Rica e Panama – non hanno riconosciuto il voto, continuando ad appoggiare l'agenda violenta che le destre hanno mantenuto anche per oggi e che prevede la costituzione di un “governo parallelo” modello siriano. Anche il cosiddetto “chavismo critico” ha deciso di passare definitivamente in questo campo.
La testardaggine non è mancata a questo voto. Oltre alla pioggia, i cittadini che sono arrivati al Poliedro hanno superato ostacoli di ogni tipo. Hanno anche rischiato la vita nei quartieri in cui gli oltranzisti hanno giurato di bruciare vivo chi fosse intenzionato a votare. Dopo la trentina di persone date alle fiamme perché afro-venezuelane, chaviste o “presunto” tale, nessuno prende la minaccia sotto gamba. Anche durante il voto vi sono stati scontri, seggi dati alle fiamme e 16 morti, tra i “guarimberos”, ma anche tra le forze di polizia. Diversi chavisti sono stati feriti nel tentativo di difendere le urne, un candidato è stato ucciso nel Bolivar e una bomba nascosta nella spazzatura ha colpito una pattuglia nella Piazza Altamira, uno degli epicentri delle violenze.
Molti elettori hanno dormito nelle vicinanze del seggio, altri sono arrivati a piedi, altri ancora in bicicletta. Quasi tutti si fermeranno per la notte o verranno ospitati dagli amici dopo aver festeggiato in Piazza Bolivar fino a tarda notte insieme al presidente Maduro.
Data la fila chilometrica che si è protratta per tutta la giornata nei quartieri governati dalle destre, è logico pensare che tra i votanti, oltre ai chavisti c'erano anche moltissime persone di opposizione, sicuramente contrarie al governo, ma anche alle violenze xenofobe e squadriste. Avranno la loro voce nella Costituente, che si installerà tra 72 ore.
Al Poliedro, sentiamo parlare italiano, pensiamo si tratti di antichavisti, com'è per gran parte degli italiani che vivono in Venezuela e che hanno fatto fortuna qui. Ma ci sbagliamo. “Siete italiani?” chiediamo alla coppia. “Solo io – ci risponde una signora atletica inanellando il discorso senza prendere il respiro - mi chiamo Donatella e sono di Roma. Poco fa scorrevo le notizie dei giornali di lì. Ma di che parlano, quali menzogne raccontano, ma lo sanno quel che abbiamo subito in questi tre mesi di locura di questi fascisti... mercenari che taglieggiano e bruciano le persone? Vivo qui da tanti anni, ho appoggiato il proceso bolivariano fin dall'inizio, siamo passati attraverso mille prove, ma ne vale la pena. Siamo qui per esercitare un diritto che nessuno ci può negare: né Trump, né i guarimberos. Ditelo, ai politici italiani...”
Nel Tachira, per andare a votare schivando le trappole dei “guarimberos”, molti hanno guadato un fiume. Un'immagine che non comparirà sui media mainstream, ma che sta rimbalzando sulle reti sociali insieme a quella di una giovane disabile che, priva di braccia, ha votato con un piede. Con il voto elettronico ha potuto farlo.
Testardo e motivato, il popolo chavista: “Quando un popolo decide di difendere la propria storia, diventa indistruttibile”, ha detto la candidata Delcy Rodriguez, ex ministra degli Esteri, promossa dal voto. Un voto “profondamente antimperialista”, ha aggiunto riferendosi alle ingiunzioni di Trump e dell'Europa. L'elettorato chavista è tornato in massa alle urne, motivato dalla possibilità di poter decidere anche fuori dalle pastoie burocratiche e per portare una critica a quello che finora non ha funzionato.

30 luglio
Primo articolo sulla giornata elettorale in Venezuela
VENEZUELA ALLE URNE, LA FILA SI FORMA ALL'ALBA
GERALDINA COLOTTI
CARACAS
All'Unità educativa Miguel Antonio Caro la gente è in fila dalle 4 di mattina. Il presidente Nicolas Maduro, che avrebbe dovuto votare in questo liceo di Caracas, arriva all'improvviso, accompagnato dalla “prima combattente” Cilia Flores, candidata all'Assemblea Nazionale Costituente. Vuole essere il primo a votare. “E' un voto per la tranquillità del Venezuela”, dice ricordando l'anno 2000, quando Chavez ha rimesso alla prova delle urne i risultati dell'Assemblea Nazionale Costituente decisa l'anno prima. Presenta Marla Munoz, riferimento per chi ha comunicazioni o richieste da fare: “Ha solo un anno più di me – scherza – ma è stata la mia capa quando eravamo ragazzini, nella IV Repubblica. Abbiamo cominciato presto a far politica. E presto a votare – aggiunge mostrando una scheda elettorale del 1981. Allora – ricorda - facevo parte di un gruppo musicale, gli Enigma. Suonavamo i Led Zeppelin. Nessun potere potrà impedire ai venezuelani di votare. La Costituente sarà un super potere per arrivare alla riconciliazione nazionale, alla giustizia, alla verità e superare i problemi che abbiamo. Non è la Costituente di Maduro, ma del popolo intero.”
Ci sono file in tutto il paese. Fin dalle prime ore del mattino, il Consejo Nacional Electoral (Cne) comunica che i seggi sono a pieno regime nell'85% del paese. Rimesso in funzione anche il seggio devastato nel Merida da un centinaio di incappucciati. I giornalisti comunitari dicono, però, che nel Merida, nel Lara e in una piccola parte del Tachira i “guarimberos” cercano di mantenere accese le violenze, cercano lo scontro con la polizia. Nello Stato Bolivar è stato ammazzato José Felix Pineda, candidato all'Anc per il settore Consigli comunali e Comunas. Nello Stato Sucre è morto anche un dirigente giovanile del partito Accion Democratica (Ad, di opposizione). A Barinas c'è stato l'assalto di un gruppo armato, che ha ferito un agente a una gamba, ma è stato respinto. Fino al momento in cui scriviamo, la notizia di due morti a Valencia non ha trovato conferma.
Durante la mattina, a Caracas era tutto tranquillo. Qualche ritardo si è registrato nel grande seggio aggiuntivo del Poliedro, installato per consentire agli abitanti dei comuni in preda alle violenze (la parte est della capitale) di votare in sicurezza. Alcuni rappresentanti di seggio non hanno potuto arrivare in tempo a causa dei blocchi stradali, sempre meno partecipati ma violenti. “Faremo storia – dice Mariangela in coda – siamo qui per dire a Trump che oggi daremo una vittoria al mondo”. La fila canta: “El pueblo unido jamas sera vencido” e “La Constituyente sì va”.
Il vicepresidente, Tareck El Aissami, che ha votato ad Aragua, ha chiesto ai media di “non oscurare le immagini di questa straordinaria partecipazione democratica”, e ha ricordato l'oscuramento dei media compiuto durante il golpe contro Chavez nel 2002. Le agenzie stampa in Italia hanno diffuso la notizia secondo la quale sarebbe stato impedito ai media l'accesso alle urne. Una precauzione presa solamente per il Poliedro, il centro aggiuntivo a Caracas, considerata perimetro sensibile per 500 metri. La presidente del Cne, Tibisay Lucena, ha risposto alle domande dei giornalisti nel corso di una conferenza stampa al Cne.
Questa è la 21ma elezione che si svolge in Venezuela dal 1998, quando Chavez ha vinto le presidenziali, più di una all'anno. Elezioni tutte vinte dal chavismo, tranne due: il referendum costituzionale del 2007, perso di misura, e le parlamentari del 2015, che hanno consegnato alle destre la maggioranza in uno dei 5 poteri di cui si compone la Repubblica bolivariana (presidenziale). Questa è però la prima volta che i media privati (che sono la maggioranza nel paese) non hanno istituito un centro informativo per seguire le elezioni. Il copione è già deciso. Tutti i riflettori sono stati al servizio del “plebiscito” , indetto in modo illegale dall'opposizione per erigere un muro di falsità mediatizzate: in primo luogo diffondendo a tempo di record numeri matematicamente impossibili (oltre 7 milioni di voti). Una prova di forza che il governo ha tuttavia consentito e anche protetto benché sia servito a “legittimare” le tappe del “governo parallelo” annunciato dall'opposizione e benedetto dalla “comunità internazionale”. L'opposizione ha gridato ai quattro venti di “essere maggioranza”. Perché allora non accetta di misurarsi nelle urne presentando proposte alternative? 
Alcune componenti di opposizione lo hanno fatto. Nell'Anc sono previsti candidati degli imprenditori, degli studenti delle scuole private... Chiunque ha potuto candidarsi iscrivendosi sulla pagina web del Cne. Si sono iscritte oltre 50.000 persone, poi ridotte a 6000 in base ai requisiti previsti. Secondo criteri geografici, il Cne ha stabilito che ogni municipio deve esprimere almeno 1 rappresentante, 2 per le capitali, 7 per la zona di Caracas. I candidati per settore sono stati proposti dai loro ambiti di riferimento (consigli comunali, comunas, associazioni). I più votati faranno parte dei 537 a cui vanno aggiunti gli 8 rappresentanti dei popoli indigeni, scelti in base alle proprie procedure comunitarie il 1 agosto. Una volta installata, l'Assemblea Costituente eleggerà dei coordinatori per raccogliere e dibattere le proposte e decidere i meccanismi procedurali e i tempi del processo i cui risultati verranno sottoposti a referendum.
Ma per quante prove di democrazia possa dare, il governo Maduro resta “una dittatura”. Dagli Usa all'Europa, l'indicazione è la stessa: occorre delegittimare il “potere popolare”, impedire che la democrazia partecipata faccia un salto di qualità e rilanci il socialismo bolivariano, liberandolo dalle scorie, dalle pastoie e dalla retorica priva di costrutto. Se il processo si consolida, si ridetermineranno gli equilibri del continente. Quella dell'Assemblea Costituente è una rivendicazione forte che le organizzazioni popolari portano avanti in Cile (dove a novembre vi saranno le presidenziali), in Brasile. E in Colombia, dove i leader sociali cadono come mosche dopo la consegna delle armi da parte della guerriglia Farc, che a settembre si costituirà in partito. Gli internazionalisti colombiani presenti hanno denunciato ieri l'assassinio di un altro militante, mentre il governo Santos dà lezioni di “diritti umani” al Venezuela e annuncia che non riconoscerà i risultati dell'Anc.
Contro il Nicaragua sandinista, schierato con la rivoluzione bolivariana insieme ai paesi dell'Alba, sono già in marcia le sanzioni del Patriot Act, che verranno approvate a settembre in via definitiva. “Chi non si abbassa a Trump, chi vota a favore del Venezuela nelle istituzioni internazionali viene minacciato e ricattato anche attraverso la legge per gli immigrati all'estero, le cui rimesse rappresentano almeno il 5% del Pil”, ci ha detto il ministro degli Esteri venezuelano, Samuel Moncada. Quel che accade in Venezuela – ha detto ancora Moncada – viene deciso da fuori. Un esempio? Rex Tillerson, segretario di Stato Usa, ex direttore generale della multinazionale Exxon Mobil, che non ha accettato le compensazioni finanziarie proposte da Chavez alle imprese espropriate, e che ora sta conducendo trivellazioni illegali nelle acque contese dell'Esquibo. Un tribunale di arbitraggio ha ridotto a più miti consigli le pretese della Exxon, che sta masticando amaro.
“Ci sono grandi interessi in ballo – ha spiegato Moncada -, tanti dollari che l'opposizione ha promesso di consegnare in cambio del potere. Da lì le recenti dichiarazioni della Cia per spazzar via il governo bolivariano. E vale ricordare che, già nel 2011, Wikileaks aveva rivelato un avvertimento degli Usa in cui si raccomandava di custodire gli archivi diplomatici in cui risultava evidente il finanziamento alla sovversione interna”. Le sanzioni? “Prima di tutto un modo per screditare la morale del nostro governo, il Venezuela è stato dichiarato una minaccia inusuale e straordinaria per la sicurezza degli Stati uniti, non per le armi ma per l'esempio di dignità e di indipendenza. Il Venezuela viene utilizzato per questioni di politica interna, dagli Usa all'Europa”. 
E infatti, lo spauracchio della rivoluzione bolivariana viene usato in tutte le campagne elettorali: dalla Spagna, alla Francia, dal Perù al Cile, al Messico. E l'Italia? E' vero che il governo bolivariano non vuole pagare le pensioni degli italiani che hanno lavorato in Venezuela? Il ministro spiega che si tratta di pretese “speculative, immorali”, di chi vorrebbe moltiplicare gli introiti basandosi sul cambio illegale imposto dal sito Dollar Today”. L'Assemblea Costituente? “Il processo bolivariano aveva bisogno di rinfrescarsi – dice il ministro – con un nuovo bagno di consenso e di democrazia partecipata”.
E l'ambasciatore del Venezuela a Ginevra, Jorge Valero, avverte: “Quanto più rafforzeremo il socialismo bolivariano, tantopiù verremo attaccati a livello internazionale. All'Onu, gli Usa sono scesi in campo in prima persona per preparare una dichiarazione simile a quella che ha permesso l'aggressione alla Libia. In quel contesto, hanno comprato i diplomatici libici, hanno corrotto i governi africani. Uno di loro è stato prelevato dalla Cia durante un safari. L'ambasciatore siriano all'Onu mi ha detto che gli hanno messo un assegno in bianco per chiudergli la bocca. Ma la Siria, anche in piena guerra, ha organizzato le elezioni, che hanno confermato il consenso ad Assad con cui gli Usa hanno dovuto fare i conti. La nostra condizione è diversa, il Venezuela ha la presidenza pro-tempore del Movimento dei paesi Non Allineati e relazioni fraterne con molti paesi del Sud. Ma il pericolo è più che mai incombente”.

30 luglio

ATTACCO ALLE URNE. MA LA COSTITUENTE NON SI FERMA
GERALDINA COLOTTI
CARACAS

Un sistema elettorale a prova di frodi, certificato nel corso degli anni e di 20 elezioni (questa la 21ma), da centinaia e centinaia di osservatori internazionali. Lo abbiamo visto da vicino partecipando alla messa a punto delle macchine e del sistema di sicurezza informatico gestito da server locali. Soprattutto, abbiamo toccato con mano quanto tutto questo sia vicino alle persone, qualcosa di tangibile che rende concreto e pieno il concetto di “democrazia partecipata e protagonista”. Nelle numerose sale di controllo, il personale – specializzato e motivato – è composto soprattutto da giovani, che hanno studiato – del tutto gratuitamente – in questi 18 anni di “rivoluzione bolivariana”: nessun feticismo delle forme, per tutti la consapevolezza di essere “una rivoluzione pacifica ma anche armata”. 
Negli occhi del ragazzo che ci spiega come funziona il meccanismo informatico e che dirige tutto questo, c'è una scintilla diversa da quella che brucia e devasta, al soldo dei grandi poteri internazionali, e che in tre mesi ha provocato 110 morti. Qui c'è una nuova maniera di concepire le relazioni di lavoro. I responsabili spiegano come sono disposti i turni di lavoro, le competenze, le rotazioni, concepite in modo che nessuno subisca il peso, nessuno ne ponga uno troppo grande sulle spalle e sulla mente del singolo o della squadra che deve reggere una situazione di stress e far fronte con prontezza all'imprevisto. 
“Il personale è stato selezionato in base alla competenza e alla motivazione, sperimentato nelle situazioni che richiedono un apporto addizionale”, dice il giovanissimo dirigente, e poi aggiunge: “quando ho iniziato gli studi non pensavo potessi arrivare qui, ma abbiamo realizzato tutto questo, e dobbiamo esserne all'altezza”. 
La partita, adesso, è ardita. Si tratta di rimodellare, di mettere in forma, di liberare dalle scorie quel che si è ottenuto a vantaggio degli ultimi, dei settori popolari, ma anche delle cosiddette “classi medie” che sono diventate tali proprio grazie al chavismo e che ora gli voltano le spalle, come sempre avviene nella storia delle rivoluzioni. Dall'Assemblea Nazionale Costituente, che verrà votata domani 30 luglio, emergeranno anche rappresentanti degli imprenditori, sui 537 costituenti, a cui vanno aggiunti gli 8 rappresentanti indigeni, che i nativi voteranno secondo i propri usi e costumi e che concluderanno le loro assemblee il 1 di agosto. 
Si voteranno candidati territoriali (364) e settoriali (163). Non vi sono candidature di partiti, tutti verranno espressi dalla società, dal ruolo che esercitano, sia nel territorio (consigli comunali, comunas) sia nei posti di lavoro (contadini, pescatori, lavoratori dei distinti settori, pensionati, studenti, sia delle scuole pubbliche che delle misiones che delle scuole private). Sono abilitati al voto 19.477.388 venezuelani, su oltre 30. 600.000 abitanti.
Le destre hanno respinto l'invito al dialogo, insistendo in una “presa del Venezuela” che finora non c'è stata, perché per dare l'assalto a un paese ci vuole per lo meno un sostegno di massa, ci vogliono le forze armate. Elementi che mancano alla Mesa de la Unidad Democratica (Mud), che ha preferito affidare la destabilizzazione del paese ai “guarimberos” e alla “comunità internazionale” subalterna ai voleri degli Usa. Qui non c'è una “guerra”, ma una prova di forza violenta organizzata da alcuni settori della borghesia legata agli interessi transnazionali. 
Stanotte c'è stata una “camminata notturna” organizzata nella capitale dalle componenti libertarie e crerative, dagli artisti, dai collettivi territoriali. La musica è risuonata dappertutto, salvo in alcuni quartieri devastati dalla “rivolta dei ricchi”. Molti compagni che ci abitano, dopo aver concluso coraggiosamente la campagna elettorale nei quartieri dell'est della capitale, hanno dormito fuori per potersi recare alle urne senza incidenti. 
Certo, dopo le sanzioni che gli Usa promettono di estendere, potrebbe anche esserci un'invasione armata. In ogni caso, le destre contano su un “modello siriano”, con tanto di “governo parallelo” riconosciuto da fuori, illegittimo in loco. E la partita è aperta. L'isolamento del paese continua. Anche Air France ha deciso di interrompere i voli, lasciando nell'incertezza quelli che – come chi scrive – hanno il biglietto di ritorno con quella compagnia. E domani non ci saranno voli da Madrid.
“L'opposizione ha deciso di segnare con la violenza questa giornata elettorale – ci spiega la vicepresidente del Cne, Sandra Oblitas – per questo il Cne, insieme ad altre istituzioni, ha previsto misure di sicurezza addizionali rispetto a un normale processo elettorale”. Quali? “E' stato ampliato a 500 metri il perimetro di sicurezza, lo stesso Cne è stato dichiarato obiettivo sensibile, dopo gli attacchi ricevuti in questi mesi. Inoltre sono stati istituiti centri di voto addizionali perché gli elettori che vivono nelle zone di violenza possono esercitare il proprio diritto in sicurezza. In Venezuela il voto è un diritto, non è obbligatorio, ma chi cerca di impedirlo commette un reato grave, attenta contro la libertà individuale”.
Molte famiglie sono state minacciate, in altre zone del paese gli è stata bruciata la casa, la macchina... Ci sarà la “presa del Venezuela” annunciata dall'opposizione? “Le violenze sono forti ma molto circoscritte. Per avere un'idea: i focolai si verificano in 76 delle 114 circoscrizioni. Tuttavia, occorre combatterle con rigore e con misure adatte a una situazione inusuale”.
Arriva intanto la presidente del Cne, Tibisay Lucena, presa a bersaglio dalle destre che hanno tentato di bruciarla viva insieme alla sua famiglia al grido di :”Brucia, strega” e hanno speculato sulla sua malattia, un tumore da cui si sta riprendendo. “Per tutto il 2016 – ci conferma Tibisay – sono stata oggetto di un attacco feroce, una campagna molto personalizzata contro di me e la mia famiglia. Questo non ha impedito al Cne di svolgere il suo lavoro di garanzia, e di esaminare la richiesta di referendum revocatorio presentata dall'opposizione contro il presidente Maduro. Una violazione dei miei diritti umani che ha avuto un carattere di genere: un gran disprezzo per la donna, per la malattia, che non si sarebbe presentato in quei termini se vi fosse stato un uomo al mio posto. La violenza politica è stata brutale, barbarica contro il Cne. Una campagna orchestrata dai media privati, che mi hanno data per morta almeno tre volte, si sono insinuati nella mia vita personale, e così è avvenuto con le reti sociali. Non posso dire che mi sono abituata alla violenza perché non ci deve abituare, ma ora sono preparata, siamo preparati”.
La presidenta del Cne è una delle venezuelane sanzionate dagli Stati uniti. Come l'ha presa? “Si tratta di misure finanziarie contro le mie presunte proprietà negli Stati uniti, che non ho, il blocco dei miei conti, ma io non possiedo conti. In realtà sono sanzioni che, colpendo la mia persona, mirano a screditare l'autorità che presiedo. Ma noi continuiamo a lavorare, non ci fermeranno. Se mi sanzionano per garantire i diritti dei venezuelani, ben venga”.
Sono misure finanziarie contro proprietà conti, non ne ho non ho la visa, non mi colpiscono però più di tutto è diretta a demoralizzare
non posso entrare negli usa perché non ho visa, ma se è visita di carattere ufficiale non possono, sono sanzioni che cercano di demoralizzare, non a titolo personale, è contro l'istituzione e contro l'anc e continuiamo a lavorare, questo non ci colpisce né morale né etica, se ci sanzionano per garantire i diritti dei venezuelani, ben venga.
Intanto, contro l'Assemblea Costituente, piovono minacce e ingiunzioni a livello internazionale. Il governo colombiano ha anticipato che non riconoscerà comunque i risultati del voto per l'Anc. Anche quello svizzero ha chiesto a Maduro di recedere dal voto. Il capo dei mediatori, l'ex presidente spagnolo Zapatero, ha invece chiesto il rispetto del voto. E così ha fatto l'Onu a Ginevra. La Mud ha confermato blocchi stradali in ogni Stato e una manifestazione a Caracas, che partirà da sei punti della capitale. Nel Merida, un centinaio di incappucciati ha fatto irruzione in un centro di votazione del Cne sequestrando i presenti e ha bruciato le urne per le schede.

28 luglio

VENEZUELA, LE MAGLIETTE ROSSE OCCUPANO LA SCENA
GERALDINA COLOTTI
CARACAS

A Caracas, l'avenida Bolivar straripa, straripano le vie adiacenti. Sul palco, tutte le dirigenti e i dirigenti del socialismo bolivariano. Il presidente Maduro prende un binocolo per guardare dove finisce la folla. E' il principale atto di chiusura della campagna elettorale per l'Assemblea Nazionale Costituente (Anc). Il 30 si vota.
Il discorso del presidente culmina con un nuovo appello all'opposizione per un “accordo di unità nazionale” e l'inizio di un nuovo “tavolo di negoziato”. Alcune formazioni come Un Neuvo Tiempo, Avanzada Progressista e Bandera Roja hanno aderito. In questi giorni, il capo dei mediatori internazionali, l'ex presidente spagnolo Zapatero, ha tenuto diversi incontri con i leader dei partiti di opposizione ed è parso relativamente ottimista. 
Ha incontrato anche Leopoldo Lopez, capo di Voluntad Popular (estrema destra). Poi sono comparsi due video. In uno si vede Lopez, condannato a quasi 14 anni per le violenze del 2014 e ora agli arresti domiciliari, attaccare il governo e l'Anc e riproporre l'agenda della sua compagine (la Mesa de la Unidad Democratica – Mud-). In un secondo video - ritenuto un falso – Lopez sembra invece invitare a partecipare all'Anc. Un doppio messaggio com'è consuetudine delle destre che giocano sempre su più tavoli? Intanto, la fake woman Lillian Tintori, sua moglie, è partita per Miami con la famiglia. Altri dirigenti oltranzisti hanno il passaporto pronto. 
Sul campo, restano i pasdaran delle “guarimbas”, che hanno provocato oltre 100 morti e danni per milioni di dollari: giovani delle classi agiate, esaltati o annoiati, o mercenari. A quelli in buona fede, a chi ha delle ragioni per protestare pur ignorando l'origine dei problemi, Maduro ha offerto una sponda ripetendo lo slogan “voto e non proiettili”. Una consegna inversa a quella imposta alle proteste durante la IV Repubblica. Ai blocchi stradali che proseguono nelle zone bene della capitale restano pochissimi incappucciati, che però tengono in ostaggio interi quartieri e hanno provocato l'insofferenza di quanti, nell'opposizione, vogliono cacciare qualche urlo, ma non a costo di rinunciare al proprio stile di vita.
“Uno dei miei più grandi errori è stato quello di aver sottovalutato il potenziale violento dell'opposizione”, ha detto Maduro in un'intervista a Rt. Dopo le 48 ore di “sciopero generale” - fallito nonostante i falsi dati diffusi dai media – la Mud ha lanciato per oggi la “presa del Venezuela”. Gli Usa hanno invitato i loro concittadini a lasciare il Venezuela o a non uscire di casa. Per il giorno del voto è scattato il divieto a manifestare per 24 ore, pena una condanna a 10 anni. Il provedimento è stato impugnato dalla ong Espacio Publico. 
Gli Usa hanno emesso sanzioni per 13 funzionari pubblici del governo Maduro. Tra questi, giudici del Tribunal Supremo de Justicia (Tsj), il massimo organo di equilibrio e garanzia dei 5 poteri di cui si compone la Repubblica presidenziale. “Qui comanda il popolo, noi siamo al suo servizio per una funzione di garanzia. Non ho conti all'estero, non sono colpito personalmente. Si tratta di una misura per gettare discredito sul proceso bolivariano, una misura di carattere neocoloniale”, ci ha detto ieri il presidente del Tsj, Maikel Moreno. 
Il Tsj ieri ha incontrato i visitatori internazionali, movimenti e organizzazioni provenienti soprattutto dal Latinoamerica, ma anche dagli Usa e dall'Europa. I messicani hanno rigettato le dichiarazioni del loro governo, che ha annunciato di volersi accodare alle sanzioni emesse da Trump e avallate dall'Europa. I colombiani hanno denunciato e respinto i piani della Cia con Messico e Colombia per stroncare il governo del Venezuela. 
“Compagni magistrati” - ha esordito il presidente suscitando un effetto straniante nei pochissimi europei presenti. Nelle sue parole, la consapevolezza di presiedere un passaggio delicatissimo del “proceso bolivariano” (“un processo, appunto, non solo una giornata di voto per l'Anc”), ma anche un passaggio storico: che fa “memoria”, giuridica e politica, mettendo le decisioni nelle mani del “potere popolare”.
Tra i “sanzionati” anche il ministro della Difesa, il generale Vladimir Padrino Lopez, figura autorevole fedele al socialismo bolivariano e sordo ai richiami al golpe rivolti dalle destre alle Forze Armate. “Siamo una rivoluzione pacifica, ma armata”, ha detto più volte Padrino ripetendo le parole di Chavez. E in questi giorni si è fatto filmare durante un'esercitazione militare: anche per mostrare il pieno recupero da un tumore da cui è stato colpito.
All'Osa, il Segretario generale Luis Almagro, emissario di Washington contro Maduro, ha subito un altro stop: solo 13 paesi hanno risposto alla sua nuova chiamata contro l'Assemblea Costituente in Venezuela. Questa volta, anche l'Uruguay ha fatto muro. Il presidente boliviano, Evo Morales, ha avvertito che sono state preparate le condizioni per un'aggressione Usa al Venezuela. Anche il Nicaragua, colpito da sanzioni finanziarie emesse di recente dagli Usa, ha lanciato l'allarme. Per tutta l'America latina progressista, il Venezuela è una vera e propria Stalingrado. L'intervento contro Caracas sta alzando la soglia del nuovo colonialismo: le istituzioni che intralciano gli interessi di grandi conglomerati internazionali si possono cancellare impunemente, con il silenzio, il discredito e il sostegno alla sovversione interna spacciata per “legittima ribellione”. Il Venezuela sembra diventato l'unico paese in cui fior di “pacifisti” difendono persino i linciaggi pur di cancellare l'insopportabile operaio del metro Nicolas Maduro. Ieri, nell'incontro al Tsj, un compagno del Paraguay ha denunciato che una rapina multimilionaria compiuta nel suo paese a passata sotto silenzio quando nel paese era presente Tintori potrebbe essere servita per finanziare gli oltranzisti in Venezuela. Il governo del Paraguay - frutto del golpe istituzionale contro Fernando Lugo - è uno dei più accaniti contro il Venezuela nel Mercosur. Senza Caracas, il Mercosur sta firmando il Trattato di Libero Commercio con l'Europa. 
Padrino Lopez ha respinto “la burla delle sanzioni”, che non colpiscono solo i funzionari, “ma tutto il Venezuela”, indipendentemente dalle posizioni politiche. “Non possiamo costruire una comunità internazionale con le bombe, con la guerra, sterminando l'umanità e l'ambiente”, ha detto rivolto ai paesi subalterni agli Usa. “Signori imperialisti – ha aggiunto - bisogna rispettare i popoli, rispettare il popolo venezuelano e la sua dignità”.
Oggi, mentre l'opposizione prepara la “presa del Venezuela”, un'altra grossa fetta di paese, che non compare sui media mainstream, ricorda la nascita di Hugo Chavez. “Chavez corazon del pueblo”, fischiettano per strada gli operai della nettezza urbana.

27 luglio

VENEZUELA, IL SOCIALISMO ALLA PROVA
GERALDINA COLOTTI
CARACAS

Nell'ascensore dalle porte capestro, un ragazzo dal sorriso aperto impedisce alla nuova venuta di rimetterci il naso. Scambio di battute. Dove sta andando, perché si trova qui? Quando si è da sole in Venezuela in un momento simile, un po' di prudenza nelle risposte non guasta. La sera prima ci siamo incappate in un esagitato portoghese che guidava il taxi imprecando contro Maduro come si brontola contro il cambio del tempo: dava per scontato che un'europea dovesse essere d'accordo con lui a prescindere. Perciò ora restiamo nel vago. Ribaltiamo la domanda: “Lei che fa?” “Operaio petrolifero – dice il ragazzo – vengo dal Zulia per presentare al presidente di Pdvsa un progetto di lavoro che la mia squadra ha messo a punto: si risparmia sui tempi, sui costi e con una miglior qualità di lavoro sulle piattaforme”. 
La storia ci interessa. Siamo nelle 48 ore dello “sciopero generale” proclamato dall'opposizione che, secondo i media internazionali, avrebbe avuto un'adesione superiore al 90%. Qual è l'umore fra gli operai petroliferi, nerbatura della principale ricchezza del paese?

Il ragazzo racconta. Lavorare sulle piattaforme – spiega – è sempre stato il suo sogno. Prima di Chavez, però, era difficile accedere senza specializzazione per una famiglia povera, poi c'erano le mafie del lavoro, le tangenti, certe vie gerarchiche da seguire. Insomma, poche possibilità. Dopo la vittoria di Chavez, nel 1998, le cose cambiano. Il giovane si fa avanti, lo mettono alla prova: “Osservavo tutto e prendevo nota – dice ora – porto sempre con me un quaderno come questo. Gli operai più esperti sono stati i miei maestri. La storia del colpo di Stato e della serrata petrolifera padronale, mi ha insegnato il resto”. 
Il golpe contro Chavez del 2002. Il giovane partecipa alla resistenza operaia contro il tentativo di ri-privatizzare la Pdvsa attraverso uno sciopero che metta in ginocchio il paese. “Abbiamo cacciato i sabotatori, imparato che si può fare da soli – racconta ancora – e ce l'abbiamo fatta. Ce la faremo anche ora”. I punti di forza? “Le possibilità di crescita, la progettualità, l'ambiente di lavoro, il rispetto per le donne che abbiamo imparato nei fatti. Prima, quasi non si erano viste donne nei lavori di massima competenza, che si pensava fossero riservati agli uomini. Oggi stanno con noi nelle piattaforme, spesso sono più brave. E' normale che ci sia rispetto. E' importante, questo: è la rivoluzione bolivariana”. 
I punti di debolezza? “Il sabotaggio interno, la lentezza, certi leader sindacali da cui non ci sentiamo rappresentati. Per questo la classe operaia sta con Nicolas, sta con l'Assemblea nazionale Costituente. Le destre parlano di dittatura. Ma quale dittatore avrebbe messo nelle mani del popolo il destino del processo bolivariano? E guardiamo che succede in Brasile: la prima cosa che hanno azzerato è la legge del lavoro e delle pensioni”
Nella maggioranza della capitale, nella maggioranza del paese, tutto è aperto e si produce. Secondo il monitoraggio dei media indipendenti, anche negli Stati governati dall'opposizione la percentuale di chi ha scioperato nelle fabbriche è minima (tra il 10 e il 18%). Nelle zone agiate di Caracas, invece, continuano le violenze benché in proprozione più ridotta: anche grazie all'attivazione del Plan Zamora, il piano di prevenzione dispiegato dal governo per garantire il voto del 30 in sicurezza. Nel Merida vi sono stati scontri e un morto. 
Ieri pomeriggio abbiamo partecipato alla presentazione del libro di Jorge Valero, poeta e politico di lungo corso, nel Teatro Carreno: un luogo di cultura partecipata, aperto a ogni tipo di espressione artistica. Nel parco adiacente, si svolge la Fiera del Libro. Il Difensore del Popolo, Tareck Saab ha annunciato l'arrivo di altre sanzioni provenienti da Trump e rivolte ai leader del chavismo. Il presidente Maduro ha consegnato ai “sanzionati” la copia della spada di Bolivar. Eravamo insieme ai deputati spagnoli di Izquierda Unida. L'accoglienza dei compagni venezuelani riscalda: “Grazie di essere di nuovo qui”. 
Poi si va tutti al bar del Teatro, luogo d'incontro e di cultura. Salutiamo una compagna del movimento Ni una menos che distribuisce inviti per una pièce teatrale contro la violenza di genere: “Siamo un gruppo di ragazze che ha vissuto un'esperienza di strada – spiega – e che ora portiamo in scena”. Il movimento delle donne, nelle sue diverse articolazioni, partecipa all'Assemblea costituente, spinge in avanti i contenuti più avanzati e le conquiste della rivoluzione bolivariana. Ci sono le candidate trans, l'attivissimo movimento Lgbtqi che tra un po' conclude a Caracas la sua campagna elettorale. 
Al nostro tavolo, ci sono anarchici internazionalisti e comunisti “spinti” che criticano “l'attendismo” del governo e “l'eccesso di moderatismo”. In qualche modo, riescono a intendersi: in ogni caso, mai con le oligarchie, mai con quegli ex funzionari come la Procuratrice generale, che ora chiedono sanzioni alla “comunità internazionale”. Ci sono palestinesi, siriani, baschi, svizzeri, colombiani. Si parla dei 100 anni della rivoluzione sovietica, dello Stato dei Soviet come prospettiva dell'Assemblea Costituente, dei problemi del socialismo, dei tradimenti, del disorientamento delle sinistre in Europa, della necessità di costruire un forte movimento internazionale. Si fa fatica a sentire, dal palco arriva il jazz cantato di un duo di ragazze. Notevole.
Il cellulare di un compagno squilla: “E' la mia ragazza – dice – che vive nell'est di Caracas. Hanno minacciato la sua famiglia, non sa come andare a votare. Poco fa hanno sparato sulla polizia, che però ha risposto...” Facciamo un ultimo giro di “cocuy”, un liquore regionale, poi ci riaccompagnano in una macchina senza specchietti retrovisori. “Tranquilla – dice il guidatore – ho fatto un corso di garante di prossimità per la sicurezza alla Pdvsa”. Non abbiamo tempo di entrare nel merito. Prima, il compagno alla guida ci aveva raccontato la sua storia, che esemplifica un pezzetto di società venezuelana: famiglia ebraica sfuggita miracolosamente al nazismo, figlio di guerriglieri, ha un cognome spagnolo e origini jugoslave. Suo padre è un esempio, qui:come Jorge Rodriguez, padre della ex ministra degli Esteri Delcy Rodriguez, di cui ricorre l'uccisione in questi giorni. Rodriguez è stato torturato e ucciso in una caserma dei servizi di sicurezza durante gli anni della IV Repubblica, quella delle democrazie di Punto Fijo. Quella a cui le destre vorrebbero tornare.
Torniamo nella nostra abitazione. A poca distanza da noi, c'è l'ex presidente spagnolo Zapatero. Abbiamo visto un via-vai di dirigenti di opposizione. Ieri Zapatero è andato a trovare anche il leader di Voluntad Popular Leopoldo Lopez, agli arresti domiciliari. Il dialogo continua, per scongiurare la guerra civile. Ma la moglie di Lopez, Lilian Tintori, e il resto della famiglia è partita per Miami. Le prossime 72 ore – secondo Trump e le destre che ne eseguono gli ordini – saranno decisive. Ora sono le 9 di mattina. Ci affrettiamo a uscire. La città si muove.


26 luglio

A tutte e a tutti. Sono in Venezuela, dove le destre si preparano all'"ora zero" per impedire l'Assemblea costituente che porterebbe il paese verso qualcosa di simile allo Stato dei soviet. Metto qui gli articoli che non vedrete più su manifesto e che si possono diffondere e condividere.
Maduro nel mirino della Cia

GERALDINA COLOTTI
CARACAS
“Incontriamoci per evitare la catastrofe”. Dalla cerimonia per la nascita di Simon Bolivar che ha aperto la settimana storico-culturale per i 450 anni di Caracas, il presidente Nicolas Maduro rivolge un appello solenne all'opposizione. Sul palco, i vertici del governo e delle Forze Armate. Gesti, discorsi e messaggi vertono sull'indipendenza e sulla determinazione a difenderla in un momento particolarmente delicato per la Repubblica bolivariana. “Non siamo più ai tempi del colonialismo”, dice ancora Maduro denunciando che “la Cia prepara un golpe in Venezuela con la complicità del Messico e della Colombia” e chiedendo ai due governi latinoamericani di esprimersi in merito. La denuncia si basa sulle dichiarazioni di Mike Pompeo, direttore della Cia, e sugli avvertimenti di Washington in merito a quel che potrebbe accadere durante “72 ore” a Caracas. «Sono stato a Bogotà ed in Messico due settimane fa – ha dichiarato Pompeo durante un forum sulla sicurezza ad Aspen il 20 luglio scorso - e ho evocato il tema di una transizione politica in Venezuela, cercando di aiutarli a capire cosa potrebbero fare per ottenere risultati migliori in questo angolo del mondo».
Poi è arrivata la smentita da Messico e Colombia, ma le parole di Pompeo non vengono prese sottogamba, né in Venezuela né fuori. L'opposizione ha rifiutato in blocco la proposta dell'Assemblea nazionale costituente (Anc) definendola “una prostituente” e ha indetto 48 ore di sciopero generale, minacciando di impedire con la forza ai cittadini di andare a votare. Il Consejo Nacional Electoral (Cne) ha disposto misure di sicurezza per garantire ai cittadini che vivono nei quartieri di opposizione dove più forti sono le violenze (19 chavisti sono stati bruciati vivi dagli oltranzisti) di votare in altri seggi. Per le destre - appoggiate da Trump, dalla “comunità internazionale” e dalle gerarchie ecclesiastiche che temono l'instaurazione “del socialismo cubano” - la via è un'altra: quella di un governo parallelo da avviare a tappe forzate, ad uso e consumo dello scenario internazionale. Per questo, hanno già nominato altri giudici del Tribunal Supremo de Justicia (Tsj), l'istanza deputata all'equilibrio dei 5 poteri di cui si compone la repubblica presidenziale. Il criterio è quello del colore unico, che contraddice apertamente il percorso di nomina “dal basso” vigente in Venezuela. Uno dei magistrati è già stato arrestato, gli altri hanno annunciato che opereranno dalla clandestinità. La Mud (Mesa de la Unidad Demoratica) ha presentato una sorta di programma del “governo di transizione” che ha già suscitato zuffe all'interno della litigiosa coalizione, e ha annunciato che a breve si svolgeranno le primarie per definire il nome del “presidente”. 
Il governo ha denunciato all'Onu le minacce di Trump e di Federica Mogherini per la Ue di imporre nuove pesanti sanzioni se Maduro non recede dall'Anc. Oggi e domani, anche il Parlamento italiano, su richiesta del Pd, prende nuovamente posizione a favore del “governo parallelo”. In videoconferenza, i rappresentanti del Parlamento, a maggioranza di opposizione dopo le elezioni del dicembre 2015. Il Pd sostiene “con forza la proposta di mediazione avanzata dal Presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni insieme al premier spagnolo Mariano Rajoy, con le condizioni che tutti gli organismi internazionali considerano irrinunciabili: liberazione immediata dei detenuti politici, apertura di un canale per gli aiuti umanitari, rispetto delle prerogative costituzionali del Parlamento e convocazione di libere elezioni a suffragio universale». Un calendario elettorale è già stato fissato, anche il leader delle destre, Leopoldo Lopez (Voluntad Popular) ha lasciato il carcere per gli arresti domiciliari. Le destre e i loro sostenitori, però, hanno fretta di liberarsi della costituzione bolivariana per tornare alla via neoliberista. Dopo un periodo di impegno in altre aree più turbolenti del pianeta, gli Usa di Trump e dei suoi petrolieri hanno deciso di rimettere la mano sul “cortile di casa”. Il primo obiettivo sono le straordinarie risorse del Venezuela, dal petrolio, all'oro, ma c'è anche un motivo più contingente per Trump: quello di distogliere l'attenzione dai suoi numerosi grattacapi interni, ricompattando “l'unità nazionale” contro “il pericolo rosso”. “Non c'è un'alternativa al dialogo e alla ricerca del consenso. Qualunque alternativa porta a un conflitto grave, molto grave”, ha dichiarato l'ex presidente spagnolo Zapatero, capo dei mediatori tra governo e opposizione. “Non posso essere più esplicito – ha aggiunto Zapatero – ma il dialogo tra le parti è esistito, esiste ed esisterà nonostante tutto quel che sta accadendo”, e il calendario elettorale fissato verrà rispettato. 
Il 30 luglio si voterà per l'Assemblea nazionale costituente, proposta da Maduro per rilanciare la pace con giustizia sociale a tre mesi dall'attacco dei gruppi oltranzisti, che hanno provocato già 100 morti e danni per miliardi alle strutture e al territorio. Domani si chiude una campagna elettorale che ha rimesso in moto le energie più feconde della società venezuelana. Candidati e candidate proposte dalla base e non dai partiti hanno presentato le loro proposte per spingere in avanti la democrazia partecipata, colmandone i ritardi, i burocratismi, i passi falsi, e capitalizzandone gli aspetti duraturi. Le proposte riguardano l'economia, l'organizzazione sociale, la giustizia e i diritti sociali – come il matrimonio gay o l'aborto – che non è stato possibile includere nella pur avanzata costituzione del 1999 per la forte opposizione della chiesa cattolica. Lo slogan, che anima motivetti in tutte le salse è questo: “La costituyente sì va”.