Alcune considerazioni da parte di uno degli arrestati per i fatti dell'11 marzo
solidale dopo la sentenza in 1° grado.

26 luglio 2006


Le condanne, (4 anni per 18 persone mentre per altre 9 assoluzione) sono state
più o meno entro i termini delle richieste del p.m. Basilone che, chiedendo 6
anni ha visto esaudita la sua richiesta, infatti la procedura prevede che col
rito abbreviato la pena venga scalata di un terzo.
Va sottolineata la differenziazione operata dall' “apparato di giustizia” nei
confronti di chi ha rivendicato i motivi della sua presenza alla
contro-manifestazione.
Preme soprattutto un bilancio complessivo della situazione, anche se
incompleto, che vuole essere lo spunto per continuare le “discussioni” iniziate
dopo gli arresti e che non dovrebbero arrestarsi proprio ora.
Incompleta perché ciò che accadeva 'fuori' durante la nostra detenzione da noi
veniva interpretato in modo talvolta sfocato e talvolta confuso, a seconda
della lettura dei fatti in questione da parte delle realtà o dei singoli che ci
hanno fatto pervenire le informazioni, oppure perché come comprensibile, la
confusione all'interno delle assemblee e dei dibattiti a riguardo non rende
semplice una lucida ed attenta analisi di fatti da parte di molt* compagn*
detenuti; non da ultimo la condizione carceraria a cui si è sottoposti.
In primo luogo vorrei precisare che secondo me è sbagliato parlare
complessivamente di sconfitta: pensare di uscire da un processo del genere, che
fra l'altro non è concluso, con l'idea di vedere la totale assoluzione nostra o
per lo meno condanne più modeste è piuttosto forviante. Certamente condannare
su basi praticamente inesistenti è una vera e propria fetenzia, ma per chi ha
occhi disincantati che vedono quale sia la reale funzione della giustizia su
cui si fonda l'ordine sociale in cui siamo costretti a vivere, questa condanna
sicuramente non fa che confermare quanto si è affermato a riguardo e cioè la
volontà di separare isolando dal corpo sociale individui e pratiche che mirano
all'abbattimento di tale sistema. Un importante passaggio repressivo si è
svolto in queste udienze cioè condannare per reati di devastazione e saccheggio
in questo presunto concorso morale, una pratica con cui sicuramente ci si
troverà in futuro -vedi processi di Torino e Genova- a fare i cont
i.
Certamente non si può considerare una vittoria restare chiusi, ma se si vuole
parlare di sconfitta i motivi sono da ricercare altrove. Per primo nell'aspetto
organizzativo della contro-manifestazione cioè non in eventuali errori da parte
di “chi” ha organizzato tale iniziativa (va da se che quando si presentano
situazioni come la presenza di tristi figuri come fiamma tricolore, “chi
organizza” l'opposizione dovrebbe essere chiunque abbia a cuore certe cose...)
bensì nella carenza nel darsi una preparazione o struttura che sia in grado di
sostenere, affrontare, fronteggiare tale situazione, con metodi propri, che poi
appartengono alla diversa concezione del comportamento da adottare in piazza ma
che, escluse poche minoranze, non è stata messa in pratica. A questo sono
dovuti i numerosi arresti in seguito ai rastrellamenti delle “forze
dell'ordine”. Qui si può parlare di sconfitta, ma se vogliamo ben vedere è una
cosa assai risibile... risolvibile con la sola ma necessaria
comunicazione fra interessati; ma forse parlare di comunicazione quando si è
intrappolati nella “rete” della comunicazione telematica può sembrare
obsoleto...
Si può parlare di sconfitta anche a riguardo del processo, ma non per le
condanne in se, quanto a come è stato affrontato questo 1° grado delle udienze.
Al di la della scelta del rito con cui, dopo alcune discussioni tra di noi, si
è deciso di andare (sarebbe come continuare a polemizzare sul fatto di fare la
manifestazione nazionale il 3 o il 17 giugno...); si sono create delle
divergenze che pare riflettano specularmente quanto avveniva all'esterno che
non sono, come può sembrare a prima vista, divergenze sulla diversità del
metodo con cui collocarsi all'interno dello scontro sociale (che per altro non
possono essere cancellate) ma delle vere e proprie “lacune identitarie”... Si
va sempre più acquisendo la concezione di avere un ruolo ben preciso
all'interno di una società democratica dove essere antifascisti è giusto in
quanto si è nati in un contesto sociale pacificato, dove pare aleggi lo spettro
di una dittatura che minaccia il quieto vivere...
Il concetto di storia è vissuto come un'entità separata della propria vita,
mentre si impone sempre più un esistenza sotto la dittatura del produci consuma
(poco) e crepa. Non conoscere i propri mezzi e soprattutto avere chiaro il fine
conduce inevitabilmente ad una sconfitta.
Sapere da dove provengono militanti delle “nuove” destre, o denunciare quanto
siano antidemocratiche le condanne ai danni nostri non fa che portare
l'attenzione su argomenti secondari che sono solo un aspetto derivante del
dominio: dire che siamo stati sconfitti perché la fiamma tricolore ha sfilato
nonostante le proteste è una cazzata come lo sarebbe affermare che avremmo
vinto se la questura avesse impedito loro di manifestare!
Intanto in altre città manifestazioni simili sono state vietate dopo gli
“scontri” dell'11 marzo, segno che nell'immaginario collettivo la presenza dei
nazifascisti evoca non pochi problemi, e non credo che sia da considerare ciò
una sconfitta (sempre che si voglia ragionare in termini di contrapposizione
tra fascisti ed antifascisti!)

Ritengo interessante la proposta girata tra alcuni di noi di approfondire
alcune discussioni fra imputati al processo, ma non solo, non per gettare le
basi di un improponibile percorso di “unità del movimento” ma per lo più per
socializzare delle discussioni come punto di partenza che sia utile per
affrontare in futuro simili situazioni conflittuali in modo cosciente e quanto
meno autonomo.
Per molti di noi c'è l'impossibilità di comunicare, ma eventuali contributi,
riflessioni o critiche potrebbero essere girate nella rete.

Vincenzo