Bolivia, Evo Morales vince le elezioni. Primo presidente indigeno

19 dicembre 2005

E' il primo indigeno d'America latina a diventare presidente del suo paese. Evo Morales, leader del Movimento per il socialismo, ha vinto le elezioni in Bolivia. Secondo i dati pressoché definitivi, Morales ha superato la soglia del 50 per cento, venendo eletto già al primo turno.

Il suo programma include la legalizzazione della coltivazione della coca e la nazionalizzazione dei pozzi di gas attualmente in mano a imprese statunitensi. Il sostegno dei ceti meno garantiti gli è arrivato per la promessa di profondi interventi nel sociale volti a redistribuire la ricchezza.

Jorge Quiroga, l'ingegnere neo-liberista formatosi negli Stati Uniti, ha subito riconosciuto la sconfitta, congratulandosi con Morales per il risultato. Quiroga ha giudicato positivamente l'ordinato svolgimento della consultazione, definendola una vittoria della democrazia.

La Bolivia è il paese più povero ed instabile del continente. Negli ultimi due anni due presidenti sono stati cacciati dai moti di piazza.

Oltre ad eleggere Morales la sinistra si è aggiudicata le metà dei seggi della camera (35 su 130) e del senato /13 su 27).

I risultati in Bolivia provocheranno certamente dei contraccolpi nelle relazioni con gli Usa, poco propensi ad accettare un ulteriore spostamento a sinistra del baricentro politico della regione, dopo la conferma al potere di Chavez in Venezuela e la attesa vittoria della socialista Bachelet in Cile.

Speciale Elezioni Bolivia 2005

http://www.selvas.org/newsBO1405.html

“Bolivia elige”: Morales corona il sogno di una giornata di mezza estate
australe
Evo Presidente!

Per la prima volta nella storia del Paese, il Presidente della Repubblica non è
un bianco e sarà eletto con oltre il 50% dei voti scrutinati. Così dicono i
dati non ufficiali della notte, così dice la gente nelle piazze. La nomina
ufficiale del sindacalista aymara Evo Moralers sarà fatta il prossimo 19
gennaio 2005.

Da La Paz, l'inviata Diletta Varlese, per Selvas.org

"E' una rivoluzione storica, ed ha la grande differenza di essere democratica e
di essere avvenuta solo grazie al voto popolare. Più che un'elezione è un
plebiscito che ha dato al Mas una vittoria irrefutabile e inappellabile: la
Bolivia intera ha votato per il cambio ed ha segnato il simbolo del cambio
democratico". Queste le parole di Alvaro García Linera, il virtuale
vicepresidente del paese, che commentano perfettamente l'elezione - ripetiamo,
ancora non ufficiale - di Evo Morales come Presidente della Repubblica
Boliviana per il prossimo quinquennio. Un fatto straordinario, unico, sia
perchè per la prima volta entra a Palacio Quemado da presidente un indios
aymara, per giunta ex leader della federazione sindacale dei lavoratori
cocaleros, sia perchè il fatto di aver avuto oltre il 50% delle preferenze
nelle urne gli consegna il paese senza dover passare da tre settimane di
accordi e trattative pur di raggiungere la maggioranza con questo o con quel
partito.
Adesso le tre settimane serviranno per formare il Governo (sempre ieri sono
stati eletti gli oltre 150 tra deputati e senatori) e per mettere al loro posto
i nuovi prefetti dei nove dipartimenti: stime non ufficiali parlano di 4
prefetture a Podemos di Quiroga, 3 al Mas di Morales e 2 ad altri candidati.
"Il mio primo pensiero questa mattina è stata per i miei genitori (Dionisio
Morales e María Ayma, morti negli anni Ottanta) per la Pachamama e per la
possibilità di cambiare la storia della Bolivia. Questa è l'ora degli offesi,
dei massacrati, di chi è rimasto nascosto per 180 anni di storia boliviana", ha
dichiarato il Presidente Morales subito dopo aver votato.

Cronaca di una strana giornata

Una città irriconoscibile, così si presenta La Paz nella giornata più
importante della sua recente storia di Repubblica. Nessuna traccia del traffico
assordante, delle miriadi di indigene cholitas affaccendate tra le loro
mercanzie, della gente variopinta che cammina convulsa, dei pulmini collettivi
"trufis" che sbraitano su tutte le possibili direzioni. La vita frenetica della
capitale più alta del mondo pare inghiottita da una calma atipica. Tutto resta
fermo con il fiato sospeso, aspettando le 6 del pomeriggio, aspettando i primi
risultati, aspettando le proiezioni commissionate dai media di comunicazione. I
dati ufficiali, quelli contati dalla CNE, la Corte Nazionale Elettorale, non
arriveranno prima del 13 gennaio. Intanto il super favorito, Evo Morales, il
leader cocalero del Movimiento al Socialismo, il MAS, il temutisismo
“narcocandidato”, così definito dall’ambasciata statunitense, non è ben visto
nemmeno dalla borghesia medio-alta, che se la fa sotto nell'ipotesi che un
serio ricambio politico nel governo (che, si badi bene, non significa per forza
“cambiamento”) vada a colpire direttamente i loro interessi. Addirittura i
segni di tale “spaventoso” cambiamento si sono materializzati nella ricca zona
sud di La Paz, dove sono apparse scritte sui muri che promettono: "Se vince ‘el
Evo’, questa casa diveterà uno spazio sociale".

Gli “autoeliminati” dalle elezioni
Molte delle persone che si sono recate a votare si sono viste impedire
l’accesso ai seggi. Non avevano più il diritto al voto, dicono gli scrutatori,
perché non hanno votato alle elezioni municipali dello scorso anno. Così, come
fosse il gioco dell’oca, si ritrovano a dover saltare il turno. In teoria,
dovrebbero tornare ad effettuare l’iscrizione, operazione che per queste
elezioni si è conclusa parecchi giorni fa. Strano, ma da queste parti può
capitare. E capita anche, sempre dalle voci che stiamo raccogliendo in quel di
La Paz, che molta gente che ha l’iscrisione in regola, gente quindi che ha
votato regolarmente alle municipali del 2004, una volta giunta al seggio non si
ritrovi nelle liste elettorali. Le lamentele, con il trascorrere delle ore, si
sono trasformate in lunghe code davanti agli uffici elettorali dipartimentali.
La Corte è dovuta intervenire, spiegando che molto probabilmente si tratta di
un banale guasto informatico (vista la complessità di queste elezioni, il
governo ha inaugurato un nuovo sistema computerizzato chiamato SiReNa) e che
tutti coloro che hanno davvero diritto al voto (putroppo nelle zone di Pando,
Beni, Oruro e Potosì la grande maggioranza di questi “eliminati” non ha
effettivamente votato per le municipali del 2004) hanno fino al prossimo 18
gennaio per "risolvere il problema". Un problema che, a livello nazionale,
nelle prime ore della serata di ieri aveva raggiunto la cifra di 900.000
elettori cancellati. Volete vedere che, come i morti del 2003 si sono
“autoeliminati” (secondo le affermazioni del capo dell’esercito boliviano),
anche in questo caso si dovrà parlare di autoeliminazione di elettori?

Tre settimane di attesa.
La CNE terminerà lo spoglio ufficiale tra il giorno 13 e il 16 di gennaio: solo
allora verranno resi noti i nomi, oltre che del presidente, a questo punto con
l'insediamento ufficiale, anche dei 130 deputati e dei 27 senatori che
formeranno il Congresso e dei 9 prefetti.
Ma già da oggi Morales è l'uomo che ha battuto la "concorrenza" con il 50%+1
dei voti. A questo punto speriamo che Morales si ricordi che vincere le
elezioni politiche ed essere presidente non è automatico. Ci sono le richieste
della gente che vuole, con tutta la forza possibile, che inizi presto il
cambiamento.

L’ultimatum a prescindere
Gli aymara dell'altipiano hanno dato un ultimatum (proprio così, un ultimatum
“a prescindere”) di 90 giorni: chiunque si aggiudichi quella poltrona avrà solo
90 giorni per cominciare il processo di nazionalizzazione delle risorse
naturali.
Vincendo Morales questa richiesta, così pare, dovrà subire qualche
accomodamento: Evo Morales intende, così come ha dichiarato nei salotti bene
della politica internazionale, aumentare la tassazione per l’esportazione degli
idrocarburi fino al 50% (contro il 18% chiesto oggi) e il pagamento delle
royalties per l’estrazione di risorse non ripristinabili al 22%, cosi da
ottenere dalle multinazionali esportatrici come Repsol e Petrolbras il 72% di
imposte sul prodotto grezzo estratto.
La gente, però, quella gente che ancora a mezzogiorno disertava la città, vuole
altro. Questa gente, quella stessa che mandato all’aria i contratti di
rifornimento idrico firmati con la Bechtel a Cochabamba e con la Suez a El Alto
(rispettivamente sotto il nome di Aguas del Tunari e Aguas del Illimani) chiede
che queste multinazionali lascino il paese, che il petrolio e il gas metano
conservati sotto la terra boliviana vengano estratti e lavorati e
industrializzati sotto la bandiera rossa-giallo-verde della Bolivia, unica via
d’uscita dall’estrema povertà in cui vive.
I movimenti sociali e la gente comune non hanno davvero più nulla da perdere.
Se Morales non adegua la sua politica a queste aspettative, sono pronti a
mettere nuovamente le città a ferro e fuoco.