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APPELLO DEL COMITATO NAZIONALE PER IL RITIRO DEI MILITARI ITALIANI
   La strategia di aggressione, economica, politica e militare portata
   avanti dalle grandi potenze occidentali contro quei paesi e quei
   popoli che non sono disposti a sottomettersi ai loro diktat continua a
   produrre rapina, miseria, sfruttamento e distruzioni inenarrabili.

   Nessuno strumento viene tralasciato per normalizzare chi si oppone e
   per ottenere il consenso delle proprie popolazioni al crescente
   militarismo ed interventismo: dal ricorso ad oscene campagne
   mediatiche, al sostegno a quelle tendenze politiche disposte a
   vendersi al miglior offerente trasformandole nei veri rappresentanti
   in loco della democrazia; dal ricorso (direttamente o per interposta
   persona) ad atti terroristici fino al finanziamento di Ong compiacenti
   che facciano da battistrada alla azione militare vera e propria, sotto
   le spoglie di Intervento Umanitario come successo nella ex-Jugoslavia
   o in Somalia.

   Quando questi mezzi falliscono si passa all'aggressione militare
   diretta, pudicamente battezzata Operazione di Polizia Internazionale,
   tanto meglio se condotta sotto le insegne di un accondiscendente ONU,
   come si è fatto in Afghanistan ed Iraq.

   In questi casi non si esita a fare ricorso da parte degli eserciti
   invasori ad armi di distruzione di massa vecchie e nuove di potenza
   inaudita e con conseguenze soprattutto sulle popolazioni civili.
   Il Libano è l'ultimo episodio di tale strategia dove si è fatto
   ricorso ad un miscuglio di tutti questi strumenti: dal sostegno alle
   fazioni filo-occidentali, all'attentato contro uno dei suoi
   rappresentanti in loco per estromettere la Siria dal paese e
   sostituirsi ad essa, per marginalizzare le correnti di opposizione
   più radicali agli interessi euro-americani in Libano; dalla
   pretestuosa aggressione militare condotta dallo stato di Israele, al
   successivo invio di una missione militare sotto insegne ONU tanto
   equidistante da darsi come compito il disarmo degli aggrediti e
   l'insediamento sul loro territorio libanese.

   Un altro quadrante su cui si stanno addensando le mire aggressive
   dell'occidente è il Darfur (Africa) dove - in vario modo, utilizzando
   ipocritamente l'emergenza umanitaria - è in corso un opera di
   manomissione politica, finanziaria e diplomatica mirante a favorire un
   nuovo interventismo bellico.
  
                NON SOTTOVALUTARE PIU? L'EUROPA SUPERPOTENZA

   La vicenda libanese evidenzia il tentativo europeo di giocare un ruolo
   di maggior protagonismo nello scenario internazionale, approfittando
   anche delle difficolt?  intervenute nella politica statunitense.
   L'Europa è divenuta la seconda potenza economico-finanziaria con la
   nascita dell'Euro e deve crescere sul piano del peso politico, pur
   tenendo conto degli interessi particolaristici delle varie politiche
   nazionali. Di conseguenza punta ad emergere non solo come potenza
   politica ma anche di tipo militare proporzionata al peso conseguito
   sul piano economico. Per tale motivo il complesso militare assume un
   aspetto decisivo sia come propulsore dello sviluppo economico, sia
   come comparto strategico nell'ambito della competizione globale che si
   delinea tra le maggiori potenze mondiali.

   Questa politica neocoloniale, pudicamente definita di mantenimento
   dell'ordine e della pace mondiale, mentre vede le grandi potenze
   occidentali sostanzialmente unite nella politica di spoliazione verso
   i paesi periferici, evidenzia nel contempo una crescente competizione
   per stabilire privilegi e aree di competenza nella migliore tradizione
   imperialistica.


                 LE AMBIZIONI E IL NUOVO RUOLO DELL'ITALIA

   Il rinnovato protagonismo dall'Italia nelle relazioni diplomatiche
   quanto il crescente interventismo militare, l'incremento delle spese
   militari, da molti inaspettato, come previsto dalla Finanziaria del
   2007 di Padoa Schioppa  - non solo per sovvenzionare le missioni
   all'estero ma anche per la dotazione di nuovi armamenti sempre più
   offensivi -, la riconferma e l'ampliamento dell'alleanza militare
   della NATO (in teoria funzionale ad un'altra epoca storica) quale
   strumento attraverso cui oggi veicolare l'affermazione delle proprie
   esigenze geopolitiche, dovrebbero eliminare ogni dubbio sulla natura
   della politica estera del governo e sugli interessi sociali di cui è
   espressione.
   Questo governo si distingue da quello di Berlusconi per una tendenza
   più multilateralista in politica estera e nelle alleanze
   internazionali ma è, se possibile, ancora più determinato a tutelare
   sullo scacchiere mondiale gli interessi specifici dell'azienda Italia
   in collaborazione e/o in competizione con le altre potenze mondiali.

   La somma delle tendenze italiane ed europee sta innescando una
   pericolosa spinta verso la militarizzazione che non riguarda solo
   l'aspetto della industria bellica come settore di investimento certo o
   le azioni di "polizia" internazionali ma produce conseguenze interne
   molto pesanti. Infatti gli interventi militari all'estero hanno
   bisogno di un forte sostegno ideologico all'interno del paese e questo
   porta inevitabilmente, come la storia ha dimostrato più volte ,verso
   una drastica riduzione della democrazia e della dialettica sociale
   interna.

   La campagna mediatica che è stata fatta attorno alla manifestazione
   del "Forum Palestina" del 18 novembre scorso è un esempio di come si
   concretizza una operazione ideologica attorno a fatti inesistenti e
   questa volta in modo bipartisan.

                DAL PACIFISMO AL MOVIMENTO CONTRO LA GUERRA.

   

   Il movimento pacifista sviluppatosi negli scorsi anni anche nei paesi
   occidentali ha espresso una vasta protesta contro la politica dei
   propri governi, ma è poi rifluito per il prevalere della sfiducia di
   poter sconfiggere tale politica, per l'assuefazione alla guerra come
   dato immodificabile di questa fase, ma anche dalle parzialit?
   politiche contenute nella sua opposizione alla guerra.

   Troppo spesso infatti si condannavano le politiche dei propri governi
   non tanto per gli obiettivi che questi dichiaravano di voler
   perseguire, ma per i brutali metodi utilizzati per realizzarli; in
   altri casi si è accettata la chiave di lettura secondo cui vi era una
   guerra quasi paritaria tra contendenti che si trattava di ricondurre
   alla pace quasi con una equidistanza al di fuori e al di sopra dello
   scontro in atto, se non per la forte componente di commiserazione e di
   condanna per le vittime di tale guerra.
   Ma quando questi soggetti hanno cominciato a dimostrare di non
   accettare solo il ruolo di vittime passive e di volersi anzi
   difendere, quell'atteggiamento pietistico è andato in difficolt?
   nell'accettare questa nuova situazione e nel doversi schierare in uno
   scontro che per quanto sproporzionato non era più a senso unico.

   In Italia tale difficolt?  si è rafforzata con la vittoria elettorale
   dell'Unione Prodiana che aveva tra i suoi sostenitori diretti o
   indiretti buona parte degli organismi e delle figure di riferimento di
   quel movimento, determinando quella che per comodit?  sintetica
   definiamo ?sindrome del governo amico?, ma che produce paralisi,
   disorganizzazione e depotenziamento di qualsiasi tentativo di
   mantenere un'opposizione autonoma ed indipendente contro la guerra.

   Si tratta di superare quella sorta di equidistanza tra aggressori e
   aggrediti, di concentrare la denuncia e le mobilitazioni contro i
   promotori diretti ed indiretti della guerra, di rifiutare qualsiasi
   missione militare all'estero condotta da tutti i governi occidentali e
   da quello italiano in particolare.

   Che tali missioni avvengano sotto le insegne della NATO o dell'ONU non
   ne cambia la natura, come hanno confermato l' intera vicenda irakena,
   quella Afghana e quella Libanese.

   Le resistenze messe in atto dalle popolazioni aggredite non sono solo
   una legittima reazione contro le aggressioni da cui sono colpite ma,
   nella misura in cui costituiscono il principale ostacolo al
   consolidamento di quella strategia, rappresentano anche un fattore di
   incoraggiamento dei movimenti contro la guerra che agiscono nei paesi
   occidentali.

   Le resistenze ridisegnano i rapporti di forza nelle aree del
   conflitto, determinando oggi uno sconvolgimento delle strategie
   USA/israeliane di "guerra infinita" e di egemonia nell'area
   mediorientale, come emerge con chiarezza in seguito alla sconfitta USA
   in Iraq e a quella israeliana in Libano.

                               DISARMIAMOLI!

             PER UN MOVIMENTO REALE CONTRO LA MILITARIZZAZIONE

   

   Il principale terreno di impegno di un movimento reale contro la
   guerra in questa fase, oltre alla netta opposizione alle missioni
   militari all'estero, deve essere, soprattutto, quello di contrastare
   le conseguenze delle scelte belliche sui propri territori. ? evidente
   infatti come il crescente militarismo venga utilizzato per rafforzare
   i dispositivi di sicurezza attraverso cui si cerca di limitare
   l'esercizio dei più elementari diritti di agibilit?  politica,
   sindacale e dell'insieme dei conflitti sociali.


   a)      E? ormai prioritaria dentro l?agenda dei movimenti contro la
   guerra ma anche dei movimenti sociali e sindacali, l? opposizione
   contro il continuo incremento delle spese militari e le loro
   connessioni qualitative (coltre che quantitative) con il complesso
   militare-industriale e gli apparati di sicurezza che stanno ormai
   conformando anche le priorit?  economiche e la vita sociale del nostro
   paese


   b) L'impegno dei movimenti deve concentrarsi contro il complesso delle
   basi militari, di tutte le produzioni di morte e di ogni
   ristrutturazione in chiave offensiva degli eserciti a cominciare da
   quello italiano. Infatti è dalle basi militari che vengono supportate
   le missioni all'estero e le guerre. Non solo,  questi insediamenti
   servono anche a giustificare una insopportabile militarizzazione dei
   territori su cui sono installate.

   Le esperienze maturate in questi anni di lotta contro le  basi: dalla
   Toscana alla Sardegna, dalla Sicilia alla Puglia o in Veneto, come sta
   avvenendo in questi giorni a Vicenza contro l'ampliamento della base
   USA, sono un prezioso bagaglio per il movimento ed un punto di
   partenza da sostenere, valorizzare e generalizzare per dare
   radicamento ed estensione sociale a queste prime forme di opposizione
   delle popolazioni. Con queste premesse il Comitato per il Ritiro dei
   Militari Italiani valuta come molto importante la crescita di un
   movimento popolare e autonomo contro la nuova base militare e la
   manifestazione nazionale di Vicenza del 2 dicembre e si impegna a
   costruire momenti di dibattito e di sostegno attivo nei vari
   territori.

   c) L'altro terreno di impegno che riteniamo indispensabile è il
   sostegno alle rivendicazioni democratiche e sociali dei migranti -
   prime vittime delle campagne razzistiche, islamofobiche e xenofobe -
   e, nei fatti, vere e proprie riserve di manodopera colonizzata
   all?interno del nostro paese. Questa battaglia, costituisce un fattore
   importante per contrastare il cosiddetto ?scontro di civilt? ? che si
   cerca di attizzare per ottenere, anche sul generale piano culturale,
   il consenso attivo delle popolazioni alla militarizzazione e alla
   guerra.


   d) Infine, il Comitato per il Ritiro delle Truppe chiama al confronto
   tutti gli attivisti, che mantengono immutata la loro opposizione alla
   guerra, per riflettere insieme su come dare continuit? , stabilit?  ed
   efficacia al proprio impegno nella direzione del rafforzamento di un
   rinnovato movimento contro la guerra. L'ipotesi che proponiamo è
   quella di costruire una rete articolata dei comitati, dei gruppi
   sociali, delle varie comunit?  territoriali operanti sul terreno
   dell'opposizione della guerra e del militarismo, ma anche di
   promuovere la strutturazione di comitati territoriali dove è mancata
   fino ad ora una un'azione coordinata contro la militarizzazione in
   atto nel nostro paese.

   Si tratta insomma di costruire una rete attiva e stabile la quale sia
   in grado, oltre le necessarie scadenze di mobilitazione nazionali, di
   promuovere e dare ampio respiro alle iniziative locali contro i
   molteplici effetti del militarismo.