Per chi conosce Antonio Bellavita e/o MariCo’ Valente, e ‘gli’ vuol bene. E’ veramente il caso di dire, non abbiamo  parole. Da ieri ci sentiamo un pò più soli (soli sole…) . Un altro addio, e un altro ancora.

Antonio Bellavita era stato – nella sua seconda vita… – il precursore, l’antesignano dal 74 di quella che sarà, negli anni 80 e nel seguito, l’onda, la fiumana [DIZ. : flot, multitude ] della “compagnerìa“ «fuoriuscita dal teatrodella lunga onda d’urto della ‘latenza insurrezionale subacuta e cronica’ prodottasi nel cuore e ai margini del « maggio rampante », del maggio ’68 lungo, in Italia. 

MariCo’ si era aggiunta per scelta, per empatìa, per passione ; per una autenticità affettiva   potremmo dire, stupefacente, disarmante, che inteneriva e talvolta poteva persino irritare : e che oggi a ragion veduta possiamo sentire e ridefinire – senza alcuna retorica da <de mortuis nisi bene>, struggente.

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Ecco : brutale come un infarto, un ictus, uno schianto di auto contro un platano – Camus..., quant’altri...–, un aereo che non riesce ad alzarsi, o a discendere, e cade... ; un candelotto in petto, in faccia, una raffica, il sangue di un compagno accanto...

Ci sono morti a lungo annunciate, da vecchiezza, malattia..., forse per questo ben più atroci, com’è più atroce l’agonìa che l’attimo, l’attesa che la sorpresa, l’agonia di un ergastolo, il “braccio” più che la morte. Ci sono – col tempo che passa ne abbiamo cominciate a dover “digerire” troppe ogni anno, e il suono struggente, fragile possente di una fisarmonica peraltro incerta e strimpellata e di un fischio non basta a sormontarle, avendone elaborato nel rito fraterno, il lutto – ci sono morti diverse... Si somigliano tutte, e nessuna è uguale a nessun’altra, per nessuno (il più aberrante resta, cercare di oggettivizzare quella singolarità, cercare di affermare come universale, per qualità legittimità pregio, quel dolore, quel lutto singolarissimo, che è “giusto” che sia così a patto di saperlo, di non erigerlo a “più Uguale degli altri”, tutti gli altri compreso quello dei suoi per “il peggiore dei tuoi nemici” – è così semplice...
 
Divagazioni sulla morte, perché. Perché nel tempo di una pausa, oggi, in un tourbillon mirabolante di telefonate coincidenzi e malintesi, nel giro di mezz’ora a questo punto della ri-correzione della cosa appena detta per combattere l’effetto ipnotico dello schermo che intralcia il procedere, ci arriva notizia di una morte triste per noi e ancor più perché “annunciata”, fatta presagile dal nemico reale di tanti e tante, quel <cancro che ti mangia la vita> – la morte di Antonio Bellavita, il primo, l’antesignano della “rifugiaterìa italiana in Francia”, eppoi un po’, il “refugium”, l’uomo del faro del porto di arrivo in quei primi anni convulsi del richiamo da “dovunque” rappresentato dall’occasione di quel <France terre d’asile...pas d’extraditions politiques>.

E nel volgere di una mezz’ora, notizia di un’altra morte tutt’altro che annunciata, di quelle che ti sembrano e sembrano a tutti assurde, a cui per lunghi istanti né tu né alcun altro credete... <MariCo’>...morta, sembra uno scherzo. E così tu, Lucia, eppoi Roberto, Claudio, Roberta, RossaLinda...così Oreste (un altr’Oreste), Andrea che te l’hanno detto ; così sarà, più tardi, con Francesca, Gianni, Claudine, Claudio, Cristina, Alain, Paco, Erri, Aïtor, Marina..., così sarà poi con Ugo, José, Armelle, Serge, Hermes, Luigi, Lola, Maurizio..., così con Maria, con Paolo..., ognuno ognuna che l’abbia conosciuta dirà, con aria inebetita, <Ma non è possibile>... Ognuno dirà <’me ce so’ appiccecat’ mille volte..., era unica...>. L’avevamo salutata “l’altra sera” tardi, coi suoi fogli, collage, foto, da mandare a Paolo, le foto di noi, le foto di noi per lui, le foto della vita le foto di Fabio, le nuove foto di Fabio da mandare a Paolo...
 
Che è? Non sta bene parlare di queste cose? Che è, troppo “privato”? “Aneddotico”? Settantasette, “Settantasette…+ trenta”, cioè « …& domani” come tema, certo ; ma un tema, una rememorazione, ha senso se è ‘messo in prospettiva’, se lo si guarda con gli occhi di oggi – e per farlo senza rischiare di cadere nella retrospezione a pretesa di “retrodatazione”, di iri-scrittura retroattiva è necessario saperlo, enunciarlo. Una rememorazione ha un senso, per noi, se non è occasione di “museo”, o pretesa di fotografia “oggettiva”, ma un riattraversamento che si ‘mette in equazione’, a riscontro, in inter[re]azione con l’oggi e per il cosiddetto domani.
    
‘Comunque, ‘taglio’ qui, per tornare all’ oggetto, perché – come nel circo, “lo spettacolo continua!”.