HIC SUNT LEONES !
MENTRE A ROMA SI BERTINICCHIA,
AL CAIRO SI ORGANIZZA
LA RESISTENZA ARABA

27-29 Marzo 2006: Prima Conferenza al Cairo
dell'Alleanza Popolare per la Resistenza Araba.
Con un prologo cairota.

(Si noti che nel comunicato italiano che annunciava la conferenza erano
sbagliate le date: 20-22 aprile)


MONDOCANE FUORILINEA 4/04/06
di
Fulvio Grimaldi

RESISTENZA. QUELLI CHE LA FANNO E QUELLI CHE CI FANNO
La scelta era tra un convegno a Roma della Rete dei Comunisti (Contropiano,
Radio Città Aperta, Disobbedienti padovani, ossia la Lista Arcobaleno per
Veltroni), il 26 marzo, chiamato "Laboratorio delle Reti Sociali", e la
conferenza al Cairo delle organizzazioni rivoluzionarie di sostegno alla
Resistenza iracheno-palestinese-araba dal 27 al 29 marzo, con un preludio dal
23 al 26 marzo, sempre al Cairo, in cui si incontravano altre organizzazioni,
queste a prevalente carattere islamico, per la IV Conferenza del Cairo contro
la guerra. Voi cosa avreste scelto? Più istintivamente che altro e anche per
un'antica consuetudine affettiva per quella parte del mondo, ho preferito il
Cairo. A rafforzare la decisione venne in soccorso a larghe falde anche il dato
che a Roma gli organizzatori erano coloro i quali annunciano una "Lista
Arcobaleno" per Veltroni sindaco likudnik, foriera, una volta compattate le
"reti sociali", di una lista per Veltroni, co-boss likudnik con Rutelli del
nuovo Partito Demokratico. Senza contare che, alla luce delle buonisterie tra
il tonto e il furbesco di un movimento della pace sempre più istituzionale, di
governi arabi sempre più sconciamente rattrappiti negli egoismi delle
oligarchie compradore, di un'opinione pubblica occidentale lobotomizzata dai
media di regime, l'unica forza che si sta opponendo alla notte dilagante della
civiltà è la resistenza irachena, soprattutto, palestinese, se rinasce, e araba
in potenza. E di questo si sarebbe argomentato al Cairo.

BERTINOCCHIANDO
Al ritorno, del convegno romano trovai un documentino intitolato Report (non
"rapporto", "relazione", "resoconto", macchè: Report. Come fashion, glamour,
stress, life-style, fast food, slow food , look, weekend, format, trend, spot,
target...cosa non si farebbe per non svelarsi provinciali e monoglotti!).
Report, alla Veltroni del my way, quasi fossimo già nell'agognato Partito
Demokratico . Vi si parlava di "soggetti collettivi" e "reti sociali", di
"spazio pubblico di movimento autonomo e allo stesso tempo non minoritario. In
grado di coniugare sperimentazione politica e radicamento sociale". Tutto
questo, onorando una prosa tra il portoalegrino e il disobbedientese, "ha
alimentato una riflessione feconda", "su un nodo programmatico decisivo" in
vista del "sindacalismo metropolitano" e di "nuove forme ricompositive". Tra il
vasapollista e il casariniano bertinotizzato, superato un azzardato
accostamento tra i furbetti della retina e le milionate di francesi in piazza
(quando la rana si fa bue...), si affronta la guerra: "La guerra, per un verso
punto di verifica acuminato del probabile governo di centro sinistra,
costituisce un dispositivo complesso e articolato, tanto sul piano della
qualità del comando che su quello della produzione di soggettività..." Caspita,
il Porta-a-portinotti non avrebbe potuto metterla meglio.
Scusate la lunga e inquietante citazione, ma alla sua luce, nessuno vorrà
risentirsi che a questo laboratorio si sia preferito l'appuntamento del Cairo.
Tanto più che rappresentava una risposta netta ai conciliaboli, pure cairoti,
del novembre scorso nei quali l'incontro preparatorio a una "Conferenza di
Riconciliazione" irachena, voluto da Lega Araba e principi sauditi, sotto
l'ombrello di un'Usa in preda alla disperazione per il disastro iracheno, aveva
visto accorrere festante l'intero pecorame del collaborazionismo pacifista,
iracheno ed occidentale. Da esso vorrebbero distinguersi coloro che, temerari
fino all'eroismo, pian pianino, a tre anni dall'inizio della più brutale
operazione coloniale di tutti i tempi, si sono spinti a "riconoscere il diritto
alla resistenza del popolo iracheno". E i fedayin e mujahedin, che ne stavano
in trepida attesa - "ci riconosceranno, non ci riconosceranno? -, ne sono
rimasti commossi. Sfugge a costoro, come gli sfuggiva la verità del ruolo
rivoluzionario e antimperialista dell'Iraq nei quarant'anni precedenti, il
valore intrinseco di questa resistenza. Come scrive bene "Senza Censura": Non
solo si oppone efficacemente all'occupazione dell'Iraq, ma impedisce una
riorganizzazione complessiva della regione ed è un vettore di ricomposizione
per la popolazione del mondo arabo e di crisi per gli alleati Usa nell'area..,.
ciò che hanno incominciato a fare gli iracheni cambierà la faccia del mondo,
non solo arabo... Ci sembra doveroso affermare che grazie agli iracheni siamo
tutti un po' più libero e sicuri". Parole non dissimile da quelle
ripetutamente pronunciate da Hugo Chavez.

IL CAIRO, NEL DNA LA PERENNITA' DEI FARAONI
Tra una seduta e l'altra della tregiorni sulla Resistenza araba mi aggiro per
una città che, pur gonfiata in pochi decenni da 8 a 15 milioni , è
assolutamente la stessa che frequentavo ai tempi della Guerra dei Sei Giorni,
di Nasser e poi di Sadat, anni '60-'70. E' finita nelle mani del peggiore dei
gaglioffi, il Mubarak satrapico e ciclista, nel senso che pesta verso il basso,
i sudditi, e piega la schiena verso l'alto, da dove parte il guinzaglio di
Condoleezza Rice, ma la commedia umana nelle strade, attori e scenografia,
voci, colori, scambi, sono immutati. E a stare anche solo un po' dove le cose
sono come quando avevi trenta, quarant'anni di meno, uscito da quel frullatore
insensato e nevrotico che è la "superiore civiltà", dove non fai in tempo a
usare che già devi gettare, a vedere, che già altro ti squarta la vista e
frantuma il pensiero, bè, ragazzi, respiri qualcosa che noi ci siamo fottuti.
Si chiama serenità. Forse, felicità. La rosa purpurea del Cairo... E' solo un
po' più lisa, più stazzonata nel suo fantasioso abito tra il decò, l'abasside,
e un realismo socialista addolcito dai panni stesi e dai riverberi delle
bancarelle glorificate da arance, zucche e meloni. Frutta e verdura che stanno
alle nostre come un tramonto sul Cervino sta alla Pianura padana di novembre.
E, in mezzo, un tranquillo brulichio umano di tutto e del suo contrario: veli e
jallabìe (aumentano verso la periferia) che tengono il passo con magliette e
jeans e a volte si coniugano: folgorante la stanga velata con due occhi
truccati come Nefertiti e il terzo occhio, l'ombelico, ammiccante sopra i
fuseau inguinali. E gli uomini? Un po' assomigliano a Nasser, un po' a Ramsete
II e un po' anche a Faruk. Hanno la pazienza dei faraoni e ti sorridono come
gli dei: dall'alto, ma con intesa e partecipazione. Sorrisi così profondi e
ubiqui li trovavi fino a qualche decennio fa ancora in Calabria, Sicilia,
Puglia. Angusti e ombrosi vicoli dove chi prega sulla stuoia, chi gioca a
domino, chi fuma il narghilè. Sempre in serie e in parallelo, mai niente da
soli. E il gusto della conversazione a coppia, a crocchio, a sarabanda,
serpeggia per le vie e negli androni, nelle bettole e botteghe, nei caffè e sui
marciapiedi, insieme all'onnipresente afrore dei dolci arabi e l'impalpabile
vellicamento della polvere: il deserto è lì che incombe. E noi che ci guardiamo
in cagnesco e non sappiamo chi abita accanto e vorremmo sfregiare la macchina a
chi ci sorpassa e dobbiamo sapere solo di correre, competere, fregare, compagni
compresi...

Approdo al palazzotto dell'Unione degli Ingegneri, in Shara Ramsis, dove si
tiene la conferenza. E' una risacca di lamiera che mi deposita oltre il largo
corso. Per capire cos'è il traffico al Cairo, immaginate di dar fuoco a un
formicaio. Il meccanismo è quello dei vasi comunicanti. Ci si infila dove c'è
uno spazio. E se non c'è uno spazio, ci si distrae strombazzando. Tutti
minacciano di speronare tutti, ma nessuno sperona nessuno. I semafori? Pare che
i cairoti abbiano il telepass del semaforo. I suoi colori gli sono indifferenti
quanto i secoli e i millenni. Il pedone si avventura come in uno tsunami, ma
viene risparmiato e accompagnato alla salvezza dal solito sorriso. Una sera,
uscendo dal convegno, piove a dirotto e mi fermo sotto la tettoia. Nell'androne
c'è il gabbiotto del portiere. Mi chiama dentro e mi fa sedere sull'unica sua
sedia. Resterà in piedi fino a quando non avrà spiovuto e per quell'ora e mezza
mi offre il tè e le chiacchiere sue e dei suoi amici. Sorrisi come se piovesse.
Un'altra sera è fuori città la coppia di compagni che mi ospita e mi fa
conoscere la figlioletta di dieci anni che ogni giorno disegna sulla lavagna
"Fulvio Grimaldi, welcome!", circondato da fiorellini. Mi cerco da mangiare per
una via che, dopo la pioggia, è un canale di fango sui cui sparagnini bordi
secchi sfilano come funamboli donne con spesa e bimbetti. Siamo un po' fuori e
i lampioni qui non ci sono. Solo formidabili tagli di luce dal barbiere, dal
caffè, dall'armadietto di cianfrusaglie che finge di essere un negozio e,
infine, dalla botteguccia del foul (piatto popolare egiziano a base di fave e
olio d'oliva). Non è che me la cavi un granchè con l'arabo, ma questi sono
svelti, intendono al volo. Dentro si cucina in grandi paioli, fuori c'è un
tavolaccio e una panca. Non faccio in tempo a sedermi che un ragazzino mi offre
la sua pagnotta, un altro, più grande spunta dal buio e mi elenca le sue
conoscenze di italiano: "Carlo Azeglio Campi, Silvio Berlusconi, Del Piero,
Valentino..." Con un niente la conversazione si fa così fitta, l'amicizia così
calorosa, le risate, le pacche sulle spalle, che l'altro ragazzo, quello della
bettola, non vuol farmi pagare. Alla fine per un piatto di indimenticabile
foul, una tazza di tè e un'ora di allegra compagnia, accetta mezzo pound, dieci
dei nostri centesimi. Arabi!

Me ne torno a casa tra pozzanghere e folate di nero e non trovo la risposta a
un perché: la povertà, spesso la miseria, l'arretratezza culturale, la
frustrazione sono le stesse dei quartieri del degrado a Rio, Caracas, Bronx,
Milano, Liverpool, Bangkok. Com'è che qui però vedo bambine delle elementari
giocare nei vicoli bui alle dieci di notte, com'è che qui una donna può
aggirarsi a notte fonda in qualsiasi angolo della città, com'è che qui nessun
turista deve temere per il suo portafoglio e la sua macchina fotografica, com'è
che qui non esistono portoni blindati e serrature a prova di dinamite e anzi le
porte dei palazzi restano aperte sempre? Chi lo sa. Mi viene il sospetto che
c'entri qualcosa che sta alla base anche della guerriglia irachena e della
resistenza palestinese: umanità, dignità e, dunque, rispetto. Arabi!

UNA CONFERENZA CHE PORTI LA RESISTENZA IN TUTTA LA NAZIONE ARABA
Come accennato, di conferenze ce ne sono state due, una dopo l'altra, sullo
stesso argomento, ma di due "soggettività" diverse. Manco fossimo in Italia. In
ogni modo, meglio due, che niente. Tanto più che in un paese come l'Egitto a
parlare fuori dai denti, cioè fuori dal gradito al Rais Mubarak e ai suoi
padrini Usa, si rischia di finire malissimo e l'argomento "Resistenza",
addirittura armata, suscita le attenzioni della più attiva e folta presenza di
repressori e di spie internazionali del Medio Oriente (furono, infatti, non
pochi i visti negati dall'Egitto ai partecipanti da altri paesi arabi). Quanto
meno, tuttavia, non esiste laggiù, almeno ufficialmente, una "Sinistra per
Israele" a guida veltroniana, cioè di colui per il quale si incomincia a
raccattar voti "disobbedienti" e retinari onde fargli governare, intanto a
Roma, un altro quinquennio likudnik-vaticanista. La prima delle conferenze -
Campagna Popolare di Appoggio alla Resistenza in Palestina e Iraq e contro la
Globalizzazione - era all'insegna dell'esaltazione della risorgenza islamica e,
accanto a gruppi occidentali del movimento pacifista e no-global, subiva la
discutibile egemonia dei Fratelli Musulmani, confraternita che più volte ha
dato adito a preoccupanti sospetti di infiltrazione e che, diversamente dagli
ostracizzati comunisti e nasseriani, gode di una benevola tolleranza da parte
del regime egiziano, pilastro arabo del nuovo Grande Medio Oriente pianificato
dai nazisionisti di Washington. Le risoluzioni finali di questa assise non
differivano molto, quanto a buoni propositi per Iraq e Palestina e contro
imperialismo e sionismo, da quelle che si sarebbero poi adottate nell'altra
conferenza, salvo un punto centrale: la solidarietà prioritaria, nella prima
conferenza, per l'Iran minacciato da aggressione israelo-statunitense.

Nessun ostracismo all'Islam politico nell'altro convegno - Conferenza di
Fondazione dell'Alleanza del Popolo Arabo Resistente - nel quale prevaleva
tuttavia una linea radicalmente di sinistra, disegnata dal piccolo, ma dinamico
Partito Socialista Egiziano con il concorso di varie organizzazioni
antimperialiste, perlopiù laiche, marxiste e nazionaliste, di Palestina,
Giordania, Siria, Libano, Sudan, Marocco, Tunisia e Iraq, rappresentate da
intellettuali, politici, attivisti, giornalisti, sociologi, con una nutrita e
particolarmente attiva componente femminile. Come era inevitabile, non figurava
nessuna rappresentanza della Resistenza armata irachena e, forse per ragioni di
sicurezza, lamentevolmente neanche un esponente del Baath, partito guida della
Resistenza irachena e dell'unità araba. E' intervenuto ripetutamente un
delegato dell'Alleanza Patriottica Irachena (API), gruppo di esiliati della
fase storica precedente che sembra aver concluso un'alleanza con una frazione
del Baath all'estero, a quanto si dice in funzione di interlocutore dei governi
europei, come contrappeso ai settori iracheni vicini agli Usa. L'uomo dell'API,
Labied Abdul-Aziz, si è distinto nell'informare sugli sviluppi interni in Iraq
durante gli ultimi mesi, con dati su episodi di ferocia repressiva, operazioni
di guerriglia, provocazioni degli squadroni della morte voluti
dall'ex-ambasciatore Usa, John Negroponte e agenti su ordini della gerarchia
scita e di Tehran, ma per la verità si trattava di notizie già diffuse da vari
siti e, in particolare, dall'ottimo Uruknet. C'erano anche gruppi europei,
purtroppo pochi e purtroppo tanto poco rappresentativi quanto ideologicamente
tra il settario e il comico. Un gruppetto turco, rigorosamente
marxista-leninista-stalinista, imbevuto di tutte le ubriacature
propagandistiche occidentali su Saddam Hussein; un adolescente pachistano di
tal Partito degli Operai e Contadini, che parlava come il libretto rosso di
Mao; ben tre delegati dell'italico "Campo Antimperialista", di cui stranamente
un palestinese assai preparato, un norvegese pallidissimo e rancoroso, cui la
mia presenza faceva l'effetto di un dito infilato nella presa elettrica, e una
monacale epifania austriaca che, letta la sua relazioncella, s'è zittita per
sempre, non modificando più un solo muscolo della marmorea fisionomia. Tutti
costoro non ci misero molto a finire ai margini del dibattito, una volta che i
convenuti arabi avevano superato lo sconcerto di una teoria, comune all'intera
pattuglia, di un terrorismo binladesco accreditato come espressione, insieme ad
altre forme di lotta, della Resistenza dei popoli contro gli aggressori. Alle
orecchie di chi aveva subito sulla pelle la sanguinaria e coordinata
commistione di violenza anglo-israelo-statunitense e provocazioni stragiste Al
Qaida, travestite da Resistenza e manipolate dalle centrali della guerra
sporca imperialista-sionista, le argomentazioni demenziali dei saputelli
europei suonavano stonate e imbarazzanti.
Non per nulla emergeva, come sottolineatura costante di una strategia di
sostegno alla resistenza araba, l'impegno a smascherare la paternità
occidentale del grande terrorismo contro civili, dall'11 settembre a Londra, da
Madrid a Casablanca, da Istambul a Bali e alle carneficine del logo "Al
Zarkawi" in Iraq.

LA QUESTIONE IRAN
Quanto all'Iran, si taceva il rappresentante dell'API, consapevole della
macchia sulla sua organizzazione causata dall'acritico e augurabilmente
accantonato sostegno - comune al Campo Antimperialista - del doppiogiochista
agli ordini dell'Iran, Moqtada Al Sadr, sostenitore dell'allora premier
fantoccio scita Al Jaafari e ritenuto responsabile, insieme ad altre milizie
scite, di buona parte della spaventosa caccia all'uomo scatenata contro sunniti
all'indomani dell'attentato di regime alla moschea di Samarra. Diversamente da
quanto deciso nella precedente conferenza "islamista", qui l'attenzione e la
priorità nelle risoluzioni finali è stata data alle minacce di aggressione a
Siria e Sudan, piuttosto che a quelle all'Iran, viste piuttosto come pressione
propagandistica destinata ad arginare un'egemonia iraniana sull'Iraq che sta
entrando in competizione con il controllo anglo-israelo-statunitense. Non pochi
relatori, infatti, sottolineavano l'equivoco ruolo di Tehran, avversario
storico della nazione araba, giocato tra collaborazionismo-competizione con gli
occupanti in Iraq (con il corollario del comune sterminio di oppositori) e
sostegno alle forze della resistenza islamica in Libano, Hizbollah, e
Palestina, Hamas. Sostegno che non può cancellare il ruolo criminale di un
governo che, insieme agli Usa, quasi fossero due avvoltoi che un po'
pasteggiano uniti, un po' si beccano per il boccone migliore (chiedendo scusa
agli avvoltoi), si impegna a sbranare quello che ritiene essere il cadavere
iracheno. La caccia all'uomo che, in particolare dopo la provocazione della
cupola d'oro di Samarra disintegrata, ha fatto ritrovare nei fossi centinaia di
civili innocenti giustiziati dopo orripilanti torture, con lo sterminio
dell'intellighenzia irachena, accademici, intellettuali, insegnanti, artisti,
letterati, medici, inizialmente autorizzata dagli occupanti, è stata condotta
dalle squadracce Al Badr, Mehdi e Peshmerga, rispettivamente di obbedienza
scita e curda. Su Hamas, oggi al governo nei territori occupati, vi è stata
l'unanime dichiarazione di appoggio, con la concomitante soddisfazione per
l'affermarsi di uno schieramento che respinge ogni demonizzazione della lotta
armata, insieme a tutti i ripetuti tentativi di ingabbiare la resistenza
palestinese in ingannevoli e fraudolenti pseudonegoziati di pace. Così, in
sintonia con quanto ripetutamente dichiarato dalla dirigenza della resistenza
irachena, si è anche appoggiato il rifiuto di ogni forma di "soluzione
politica", come quelle adombrate nei contatti tra occupanti e forze che,
aderendo alle istituzioni fantoccio create dall'occupante, hanno perso ogni
rappresentatività nella lotta di liberazione. Tra i partecipanti più
prestigiosi vanno infine ricordati un generale dell'aeronautica del governo di
Saddam e due ex-ambasciatori iracheni, al Cairo e a Tehran, voci di quella
maggioranza del popolo iracheno che ha saputo resistere a quarant'anni di
aggressioni e complotti imperialisti e che, insieme ai palestinesi, continua a
rappresentare il fronte di riferimento nazionale e progressista arabo contro i
piani neocolonialisti di Israele e dell'Occidente come raffigurati nei progetti
della Grande Israele e del Grande Medio Oriente.

TEMI DELLA CONFERENZA
L'imperialismo è il nemico principale dei popoli e non è unico, ma multiplo,
quello Usa essendo il più forte, influente, sviluppato e aggressivo. Nessun
altro imperialismo può essere nostro alleato, con buona pace dei cultori
(Fausto Sorini del Prc e il Campo Antimperialista con gli annessi neonazisti di
Eurasia) di un Europa, o Eurasia, capitaliste, antagoniste degli Usa in chiave
competitiva. Resta ovvia la priorità da dare alla lotta contro l'imperialismo
Usa, in quanto capace di approfondire le contraddizioni tra quello e gli altri
imperialismi. Strumento strategico dell'imperialismo nella regione e primo
nemico da affrontare sul piano politico è il progetto del Grande Medio Oriente.
Le classi dirigenti e i regimi dei paesi arabi sono subordinati
all'imperialismo e ne rappresentano gli interessi. Non saranno mai a fianco dei
diritti dei popoli e delle loro lotte di liberazione. Le cosiddetta "riforme"
che questi regimi, sotto pressione Usa, promettono di attuare sono pura
mistificazione. La lotta contro questi regimi è il corollario della lotta
contro l'imperialismo.
La lotta contro l'imperialismo nell'Est arabo (Iraq, Palestina, Libano,
Siria...)
è la continuazione della lotta contro il colonialismo e la subordinazione e
rappresenta oggi il cuore della lotta globale contro l'imperialismo. La
sconfitta dell'imperialismo nell'Oriente arabo sarà un passo decisivo verso la
sconfitta dell'imperialismo a livello mondiale.
L'entità razzista sionista è illegittima. L'unico rapporto che si deve
intrattenere con questa entità è quello della resistenza e della battaglia per
lo smantellamento dell'occupazione . Ciò conferma che la contraddizione
principale nella regione è tra il progetto di liberazione arabo, da un lato, e
i piani dell'imperialismo e del sionismo dall'altro. Si tratta di una lotta non
per confini, ma per l'esistenza. Va quindi sostenuta la lotta contro la
normalizzazione dei rapporti con Israele a tutti i livelli, localmente e
globalmente, giacchè la normalizzazione è uno strumento rilevante dell'egemonia
sionista. Ne consegue il diritto incondizionato, assoluto e irrinunciabile al
ritorno del popolo palestinese alle sue città e ai suoi villaggi. Nessuna
autorità ha il diritto di negoziare o cedere tale diritto in qualsiasi forma.
Va respinta incondizionatamente l'occupazione dell'Iraq con tutti i suoi
sottoprodotti e le sue conseguenze. Ci collochiamo nella trincea della
resistenza all'occupazione con tutti i mezzi, ponendo in cima alle priorità la
resistenza armata. Non potrà esistere mai una legittimazione internazionale
all'egemonia imperialista poiché l'unica legittimità deriva dal popolo, dai
suoi diritti naturali, storici, etici e di classe. Sta solo al popolo accettare
o rifiutare le "risoluzioni internazionali".
La base del processo vittorioso è l'unita della patria araba, fondata su
principi umani e non sciovinisti, nel pieno rispetto delle diversità culturali,
ideologiche e religiose. L'unità araba, corrispondente alle aspirazioni
storiche delle popolazioni dell'area, è elemento partecipe della lotta
internazionalista per la sconfitta dell'imperialismo.
La lotta per la liberazione e la democrazia comporta un ininterrotto scontro
con l'imperialismo e i regimi vassalli. Liberazione e democrazia sono
ottenibili soltanto facendo prevalere gli interessi sociali, economici e
politici delle classi popolari e la sovranità del popolo sulla propria terra e
sulle proprie risorse.
Vanno respinti i finanziamenti stranieri (extra-arabi), nonché l'intervento di
organizzazioni governative e non governative che dipendono da finanziamenti
esteri, poiché si tratta di strumenti al servizio dell'imperialismo e
finalizzati a frazionare le questioni arabe fondamentali in tematiche isolate,
umanitarie, che risultano estranee al contesto storico e militante. Sono anche
strumenti per indebolire il progetto rivoluzionario arabo e promuovere
l'"addomesticamento" degli intellettuali progressisti (basti, a conferma di
quanto sopra, il percorso delle Ong italiane, a suo tempo impegnate in Iraq, a
fianco dei movimenti "non violenti" e delle proposte ONU della "comunità
internazionale".
Va sottolineata l'importanza dell'analisi teorica fondata su una conoscenza
dinamica e in evoluzione che permetta di comprendere le strutture
dell'imperialismo e il suo progetto colonialista nella regione araba e nel
mondo. Sottolineiamo la necessità dell'elaborazione di una strategia dei popoli
arabi che difenda la causa araba e i relativi diritti e s'impegni in difesa
delle lotte di liberazione ed emancipazione in tutto il mondo.

OBIETTIVI DELLA CONFERENZA
Sulla base dei principi enunciati, la conferenza si è dedicata allo studio di
un progetto per la resistenza araba contro i piani neocolonialisti; alla
formulazione di un programma di lavoro per i gruppi arabi e non arabi che
partecipano alla conferenza; alla creazione di una segreteria che si impegnerà
nell'esecuzione del programma di lavoro; al coordinamento tra i gruppi della
Resistenza araba e le forze che perseguono analoghi obiettivi nel mondo e, in
particolare, in America Latina. A questo scopo, si apriranno canali di
comunicazione, coordinamento e collaborazione in primo luogo con i governi
cubano, venezuelano e boliviano e con le organizzazioni di massa rivoluzionarie
e progressiste negli altri paesi latinoamericani. Per carenza di interlocutori,
per ora non si sono pianificati approfondimenti con analoghe forse in Europa,
salvo un avvio di contatti esplorativi, data la loro dimostrata debolezza e la
prevalente ambiguità delle posizioni politiche in merito a terrorismo e lotta
armata.

Una volta di più, la conferenza, a dispetto degli infantilismi schematici e
delle ambiguità analitiche di quasi tutti i partecipanti europei, l'ha fatta
finita con il paradigma imperialista-bertinottiano della "spirale
guerra-terrorismo", che riconosce al "terrorismo islamico" l'autenticità che le
centrali imperialiste, che lo hanno creato e lo gestiscono, vorrebbero
attribuirgli onde giustificare guerre globali permanenti, compartecipazioni
colonialiste, repressione e fascistizzazione interne finalizzate a contenere la
crisi strutturale del capitalismo. Sono state innumerevoli le testimonianze dal
territorio circa il carattere di strumento dell'imperialismo di realtà virtuali
come Al Qaida e di personaggi inesistenti, o non più esistenti, come Al Zarkawi
e Bin Laden, nel nome della caccia ai quali sono state sterminate popolazioni e
devastate città. Direttamente dall'Iraq abbiamo potuto approfondire - anche con
la mia modesta testimonianza sulle provocazioni degli squadroni della morte
Cia e Mossad, etichettati Al Qaida, a Basra, Baghdad e Amman - sia la
dimensione degli orrori genocidi inflitti alla popolazione, sia la funzione
delle milizie iraniane e curde al servizio dell'occupazione, dello squartamento
dell'Iraq e degli interessi materiali delle proprie oligarchie feudali e dei
rispettivi governi patrocinanti (Iran per le milizie Al Badr del Consiglio
Supremo della Rivoluzione Islamica in Iraq, SCIRI, Israele e Usa per i
peshmerga curdi, ancora Iran per le milizie Al Mehdi di Moqtada al Sadr). In
questo contesto, sulla base delle numerose dichiarazioni politiche della
dirigenza della Resistenza armata e, proprio in quei giorni, del messaggio
inviatoci dal comandante della Resistenza Nazionale, Izzat Ibrahim Al Duri,
vicepresidente iracheno, è stato ribadito che ogni trattativa con gli
occupanti, ogni partecipazione alle istituzioni sue e dei suoi fantocci sono
escluse e verranno avversate nei termini più decisi. Chiunque dovesse
partecipare a una "Conferenza di riconciliazione", come quella adombrata dalla
riunione del Comitato Preparatorio al Cairo nel novembre scorso, cioè
sedicenti partiti islamici, o i rappresentanti di Al Sadr, o il rinnegato e
collaborazionista Partito Comunista Iracheno (gemellato al Prc!), o altri
opportunisti, verranno considerati conniventi con l'occupazione e come tali
colpiti.
La Resistenza irachena, preparata con largo anticipo e composta dai
combattenti dell'esercito nazionale, delle milizie del Partito Baath, dai
fedayin del popolo e da gruppi di mujaheddin dell'Islam politico, è l'unica
abilitata a parlare a nome del popolo iracheno in tutte le sue componenti. Si
tratta anche di rompere la blindatura del silenzio che i media occidentali e
arabi costruiscono attorno ai comunicati politici e militari della Resistenza,
come, particolarmente significativa, quella recente del vice di Saddam Hussein,
Izzat Ibrahim, con la quale si nega ogni coinvolgimento della guerriglia
anti-occupazione negli episodi di terrorismo contro civili, moschee, mercati e
se ne denuncia la matrice imperialista e il fine di provocare la guerra civile
in un Iraq che non ha mai conosciuto conflitti di confessioni.

Due capitoli all'ordine del giorno per la minaccia di aggressione
imperialista-sionista, relativi a Siria-Libano e Sudan-Darfur, hanno visto
formulare un impegno di chiarificazione e solidarietà rispetto agli ormai
evidenti progetti di destabilizzazione e intervento militare di imperialismi
congiunti. Si richiede una forte mobilitazione per portare all'opinione
pubblica progressista e democratica la verità su questi due scenari, già
offuscati da una massiccia operazione di propaganda: la presunta repressione
del governo sudanese nei confronti delle popolazioni del Darfur, invece
sobillate da forze esterne per l'ennesimo progetto di smembramento di uno stato
arabo ricco di risorse; e il complotto sionista-imperialista contro Libano e
Siria, tramite una "rivoluzione colorata" nel primo caso, innescato
dall'attentato al premier Rafiq Hariri, attentato di chiara marca sionista con
copertura ONU nelle successive indagini, e un intervento militare finalizzato
al cambio di regime e all'ulteriore espansionismo israeliano, nel secondo.
Quanto all'Iran, sulle voci che riecheggiavano la psicosi di un imminente
attacco sionista-imperialista, è prevalsa l'analisi di una situazione di stallo
dovuto alla confluenza-concorrenza degli interessi tra Iran e i suoi presunti
assalitori in Iraq e nel Medio Oriente, oltrechè di un tentativo di mascherare
le intenzioni aggressive più attuali nei confronti di Siria, Palestina e Sudan.

Nel finale, in attesa della dichiarazione conclusiva che gli organizzatori
faranno circolare nei prossimi giorni sulla base di un documento discusso e
approvato a maggioranza dai partecipanti, si è voluto sottolineare con forza la
necessità di una vasta mobilitazione culturale che colleghi, nella coscienza
dei popoli, la lotta di liberazione nazionale araba alle lotte anticapitaliste
ed antimperialiste in tutto il mondo, per la creazione di un fronte
antimperialista unitario, interdipendente, sinergico, ma articolato
concretamente secondo le necessità delle varie esigenze.
locali.

Il Dr.Isham Bustani, dell'Associazione contro la Normalizzazione, Giordania,
co-coordinatore della conferenza insieme alla dottoressa Arab Lutfi, del
Partito Socialista Egiziano, ha così concluso: " Nel mondo si stanno scontrando
due progetti di portata planetaria, quello imperialista, che intende riproporre
i rapporti di produzione e di controllo del colonialismo ottocentesco, e quello
di liberazione nazionale e di sovranità che contiene in sé l'obiettivo del
potere delle classi subalterne. Noi dobbiamo adoperarci per far vincere il
progetto di liberazione nazionale. La nostra priorità è l'unità. Un'unità che
si fondi sulla non negoziabilità dei principi, come quello del rifiuto del
sionismo, dottrina colonialista e razzista, che oggi detta addirittura l'agenda
al governo Usa. Il nostro compito è elaborare e porre in atto un progetto che
unisca le forze antimperialiste nel mondo su un piano di lavoro militante. In
questo piano ha necessariamente il ruolo di avanguardia mondiale la resistenza
dei popoli iracheno e palestinese, a fianco dei quali è impegno prioritario
schierarsi senza compromessi, identificandosi con i combattenti per la libertà
e sovranità e appoggiando il loro rifiuto di tutte le fraudolenti proposte di
pace avanzate nel corso degli anni per stroncarne la marcia verso la vittoria.
A questo scopo verranno promosse una pubblicazione periodica multilingue e un
nuovo sito di informazione di lotta antimperialista da affiancare a quelli già
operanti. Proponiamo anche una giornata di mobilitazione mondiale per il 15
maggio e un intervento di informazione e coscientizzazione al Forum Sociale
Europeo di maggio ad Atene. Si invitano i gruppi radicali in Europa e Asia a
coordinarsi con noi e ad assumere proposte di lavoro coordinato che operino in
particolare sul piano culturale, con concerti, feste, cineforum, festival
video, eventi vari, allo scopo di diffondere la verità sulle lotte di
resistenza ai più vasti strati della popolazione. A questo scopo viene
costituito un comitato di compagni non arabi che contribuisca anche al
reperimento e alla valorizzazione di fonti di finanziamento. Nostro
interlocutore privilegiato è oggi il movimento di massa in America Latina e, a
questo scopo, va promossa una presenza dei nostri contenuti e delle nostre
attività in particolare sull'emittente televisiva Telesur".

Come si può vedere, resta escluso ogni riferimento politicio-ideologico
all'Islam, nonostante il dichiarato sostegno alle forze dell'Islam politico che
operano verso obiettivi condivisi, come Hamas e Hizbollah, onde evitare
qualsiasi strumentalizzazione della conferenza a vantaggio della teoria
imperialista dello"scontro di civiltà". In conclusione, una conferenza
quantitativamente forse non all'altezza di un assunto che vanta una portata
storica e mondiale, ma che sul piano qualitativo, una volta lamentata
l'inadeguata partecipazione esterna al mondo arabo, ha saputo dare un
contributo importante alla nascita di un movimento di massa arabo e
internazionale che si identifichi con le ragioni della Resistenza dei popoli e
si proponga di opporre un fronte di verità e militanza alla disinformazione
globale e all'opportunismo di frange sedicenti antagoniste, ma effettivamente
subalterne.