CONFEDERAZIONE COMUNISTI/E AUTORGANIZZATI
COORDINAMENTO NAZIONALE

ROMA, 15 NOVEMBRE1998

RELAZIONE DI GIORGIO RIBOLDI

Quando quattro mesi fa dopo il nostro ultimo Coordinamento Nazionale decidemmo, pur con molte perplessità e con la coscienza delle enormi difficoltà che avremmo incontrato, di procedere e di rilanciare l'esperienza da noi iniziata all'inizio del 1998 , il quadro politico nazionale ed internazionale era radicalmente differente rispetto ad oggi.

L'Italia del capitale era appena entrata in Europa, (per usare un termine che non mi appartiene), dopo aver dimostrato agli organismi sovranazionali di aver raggiunto e rispettato tutti o quasi i parametri economici sanciti dal trattato di Maastricht.

Il governo Prodi e tutti i partiti che lo sostenevano - compreso il PRC - stavano esultando e cercando di capitalizzare i risultati raggiunti attraverso politiche di feroce massacro delle condizioni materiali e salariali della classe lavoratrice e perseguendo scelte che hanno prodotto la distruzione quasi totale dello stato sociale.

Il governo e la maggioranza parlamentare avevano approvato un DPEF "morbido" che avrebbe dovuto costituire la fonte su cui costruire la legge finanziaria per il 1999 : una legge finanziaria di ordinaria amministrazione. Il PRC scalpitava, come al solito in modo parolaio, ma finiva con l'avallare queste scelte, così come aveva avallato irresponsabilmente tutte le politiche economiche degli ultimi anni, ivi comprese le ultime due Finanziarie di circa 130 mila miliardi, che avevano contribuito di fatto a modificare i rapporti di classe nel nostro paese.

Insomma, a giugno il quadro politico sembrava relativamente stabile, a parte i soliti chiacchiericci lamentevoli e d'immagine di Rifondazione Comunista che minacciava di rinviare la resa dei conti alla presentazione ufficiale della legge finanziaria in autunno.

Oggi a distanza di quattro mesi, il governo Prodi è stato abbattuto con una operazione parlamentare ordita da Bertinotti e da una parte di Rifondazione Comunista, ispirata di fatto da D'Alema e da quella parte dei democratici di sinistra che vedono Prodi e Veltroni troppo distinti e autonomi dalle esigenze dei singoli partiti che componevano il soggetto Ulivo. Ma la crisi di Governo e la sua soluzione sono state rese possibili dalla disponibilità e dalla pressione esterna di Cossiga e dell'UDR che avevano e hanno la necessità di inviare segnali politici forti a tutta quell'area di ceto politico di centro-destra che, dentro il Polo o fuori dal Polo, sente matura la fase per ricostruire o rifondare una nuova Democrazia Cristiana del 2.000, per reintrodurre nel nostro paese un partito di centro moderato, tiepidamente liberale, fortemente liberista in economia, legato alle gerarchie della Chiesa, con forti addentellati nella tradizione e nella cultura cattolica. Il populismo straccione e televisivo di Berlusconi si è rivelato inadatto, insufficiente, inesperto ed eticamente non all'altezza nel rappresentare quell'area sociale interclassista che per decenni ha costituito il bacino elettorale della Democrazia Cristiana. La indubbia esperienza e la professionalità politica di Cossiga hanno costituito il volano della gestione di questa operazione.

RIFONDAZIONE COMUNISTA E IL PARTITO DI COSSUTTA

La decisione della maggioranza di Rifondazione Comunista di provocare la crisi di governo ha avuto come conseguenza la nascita del governo D'Alema e la scissione dello stesso partito, con l'immediata conseguente fondazione della "nuova" formazione politica dei comunisti di Cossutta.
I contrasti fra Cossutta e Bertinotti sono stati di natura tattica. Si è trattato di uno scontro di potere. Nessuno dei due protagonisti aveva come obiettivo la ridiscussione delle posizioni strategiche di Rifondazione Comunista. C'è da rilevare - come ha osservato il compagno Manisco - che esiste un possibile nesso oscuro tra le scelte politiche di Bertinotti e del ceto politico arroccato attorno a lui e i risultati concreti che essi producono, che sarebbe interessante scoprire e disvelare.
Il partito di Bertinotti aveva fatto e continua a fare dell'immagine e del ricatto politicista l'elemento centrale della sua politica. Questa pratica non rientra nella tradizione comunista e rivoluzionaria, anzi ha una forte analogia con la politica di Craxi e con il craxismo.
Dopo la scontata scelta governista dell'ala cossuttiana, Rifondazione Comunista è avviata ormai lungo un percorso irreversibile che la sta trasformando in un partito di opinione radical-parolaio. Le previsioni di irrecuperabilità di questo partito, che la C.C.A. fece nel suo documento fondativo, si sono dimostrate realistiche. Solo un'analisi superficiale può far apparire il massimalismo di Rifondazione Cominista ancora credibile.
La presenza nella realtà politica di due formazioni che si richiamano nominalmente al comunismo rende la situazione più confusa, più difficile e più complessa, ma paradossalmente rende ancor più attuale la necessità di accelerare il processo di costruzione di una organizzazione comunista e rivoluzionaria non settaria, non minoritaria e non appiattita nelle istituzioni, ma in grado di costruire strumenti di organizzazione del contropotere di classe e le condizioni per condurre un'offensiva contro la stabilità di questo potere politico.
Se noi della C.C.A. fossimo stati in grado di forzare il processo di aggregazione e di costruzione di un nuovo soggetto comunista, forse quanto è accaduto nel PRC avrebbe potuto assumere svolgimenti e connotati diversi. Infatti la nostra organizzazione ha riscontrato non solo ostacoli oggettivi, ma anche soggettivi nell'applicazione di passaggi conseguenti ad un'analisi corretta della realtà, decisi nell'ultimo coordinamento nazionale.

IL GOVERNO D'ALEMA

La formazione del Governo presieduta da D'Alema non costituisce un passo in avanti a sinistra, non si tratta di un governo di sinistra d'ispirazione socialdemocratica, ma è la prosecuzione in senso involutivo del governo dell'Ulivo. Il programma del governo D'Alema è il programma della stabilità capitalistica. Questo governo rappresenta, in modo ancora più organico del governo Prodi, le esigenze del grande capitale nazionale europeo ed internazionale. E' un governo che garantirà le politiche dettate dal FMI e dalla Banca Centrale Europea. E' il governo che completerà e porterà a termine il progetto di unificazione economica con il resto dell'Europa. E' il governo che completerà e allargherà il processo di privatizzazione dei principali Enti economici pubblici e delle banche pubbliche. E' il governo della modernizzazione capitalistica. E' il governo che, facendo funzionare a pieno ritmo la cinghia di trasmissione dei sindacati confederali, cercherà di garantire per lungo tempo la pace sociale e l'assenza di conflitto, facendo peggiorare ancor di più le condizioni materiali dei lavoratori dipendenti. E' il governo che rilancia la concertazione ed anzi l'allarga ad altri soggetti istituzionali. E' il Governo che si sta accingendo ad introdurre ulteriori limitazioni del diritto di sciopero con l'intento di colpire soprattutto le organizzazioni sindacali autorganizzate. Il suggeritore di questa iniziativa liberticida è il segretario della Cgil Cofferati, il quale cerca di contenere le continue fuoriuscite dalla sua organizzazione, utilizzando metodi burocratici e repressivi.
Se si legge attentamente il programma di D'Alema, presentato al parlamento, si avverte come sia completamente assente qualsiasi proposta o progetto che vada nel senso di una maggiore giustizia sociale, non è presente nessun messaggio, neppure minimo, che possa far individuare un cambiamento in senso progressista. Al contrario contiene proposte che arretrano addirittura rispetto al programma dell'Ulivo e alle ultime proposte del governo Prodi, sia per quanto riguarda il progetto delle 35 ore, sia per quanto riguarda il finanziamento alla scuola privata, sia per quanto riguarda l'asserita disponibilità a rimettere mano alla riforme dello stato sociale in senso peggiorativo. Chi esultava per la caduta di Prodi e per l'andata all'opposizione di Bertinotti, è servito col Governo D'Alema.
Con il Governo D'Alema-Cossiga-Cossutta e con la falsa e momentanea opposizione di Bertinotti, che si appresta a rientrare nel gioco istituzionale ed elettorale, il processo di normalizzazione rischia di affermarsi stabilmente, in assenza di (opposizione sociale) che ne ostacoli la realizzazione. Il capitale finanziario e industriale ha imposto ovunque la sua scelta sul piano politico e istituzionale : Quella che si definisce "sinistra europea moderata" è il tramite cosciente e organizzato delle volontà e delle esigenze del capitale internazionale.
In Italia e in Europa la concertazione neo-corporativa rischia di funzionare regolarmente e di stabilizzarsi in assenza di soggetti politici e sindacali che rifiutano e combattono l'accettazione dei parametri economici, politici ed istituzionali imposti dagli accordi di Maastricht. Ecco perché rimane fondamentale per il nostro progetto l'attuazione di quanto indicato nel documento fondativo : vale a dire la costruzione e il rafforzamento in tutti i luoghi di lavoro dello Slai Cobas, strumento fondamentale per procedere verso la costruzione del sindacato di classe. Ma se l'autorganizzazione non si collocherà politicamente, se non avrà una sponda politica rischierà di rimanere subalterna alle iniziative altrui
Essendo questi gli elementi centrali che determinano l'attuale situazione, ora vediamo di fare il punto sulla nostra esperienza trascorsa e sulle prospettive che si delineano.
Il dibattito in corso nella C.C.A. si è polarizzato attorno ad una questione : la Confederazione è la forma storica attuale dell'organizzazione rivoluzionaria o è invece una prima tappa del processo di ricostruzione del partito comunista ? La Confederazione è essa stessa il partito oppure il partito dovrà superare la forma confederativa per assumere caratteristiche di maggiore sintesi politica, teorica ed organizzativa ? Io credo che la seconda sia l'ipotesi di cui si dovrà verificare la praticabilità.
Certo, la soluzione a questi interrogativi non è semplice perché in un'esperienza rivoluzionaria che ha attraversato decenni e coinvolto parecchie centinaia di milioni di uomini e donne ciascuno può trovare argomenti da portare a sostegno della propria tesi.
D'altra parte, però, qui non si tratta di fare speculazioni filosofiche a partire dalle idee più o meno brillanti di questo o quest'altro, né di richiamarsi in modo dogmatico - e quindi antidialettico - ai classici del marxismo, bensì di confrontarsi appunto con l'esperienza storica, con ciò che è effettivamente avvenuto, per quanto contraddittorio possa essere, e da questo confronto trarre gli insegnamenti utili per l'oggi. Non solo, nel nostro caso specifico, dobbiamo fare i conti anche con le soggettività e con le forze reali su cui possiamo puntare, prima di decidere se dare seguito o meno alla nostra esperienza. La costruzione di un partito non può basarsi sul puro volontarismo, anche se è necessaria una forte dose di soggettività.
Nel processo di costruzione di una nuova organizzazione rivoluzionaria, già nella fase iniziale, occorrerà attivare tutti i meccanismi che impediscano la nascita dei germi del burocratismo.

LA CONFEDERAZIONE COME FORMA PARTITO

I sostenitori della Confederazione come forma partito adeguata alla fase storica attuale partono dalla negazione della necessità della ricostruzione del partito assumendo la tesi della "crisi generale della forma partito storicamente determinatasi nell'ultimo dopoguerra in Europa".
Sarebbe comunque necessario, per fissare meglio i termini della questione, precisare se la crisi della forma partito si riferisce ai partiti borghesi, ai partiti riformisti o a quelli rivoluzionari.
Questo non significa negare anche l'inadeguatezza delle organizzazioni rivoluzionarie rispetto ai compiti storici che avrebbero dovuto assolvere, ma semplicemente portare elementi di chiarificazione nel dibattito, poiché altrimenti alcune formulazioni "tranchant", che in certi casi vengono usate nel dibattito in corso, rischiano di confondere e di essere interpretate come liquidatorie in assoluto, rispetto alla necessità di costruzione di qualsiasi partito, anche quello comunista e rivoluzionario.
Nel nostro confronto politico e teorico rischiamo spesso di sottovalutare le esperienze delle organizzazioni rivoluzionarie degli anni 70.
Ma mettere tra parentesi quegli anni porta inevitabilmente a credere che nel solco del comunismo rivoluzionario novecentesco ci stia solo il PCI, il PRC e non anche quelle organizzazioni che, con tutti i loro limiti e gli errori talvolta tragici, hanno espresso in modo reale la volontà dell'abbattimento del capitalismo.
Così come la vittoria dell'Ottobre si fondava dialetticamente sulla sconfitta della rivoluzione del 1905, così come la Resistenza Antifascista si fondava dialetticamente sulla clandestinità del ventennio, allo stesso modo la rinascita del movimento comunista rivoluzionario in questo paese deve fare i conti anche con la sconfitta degli anni '70 e non solo con il riformismo berlingueriano o bertinottiano.
Occorre ricordare che il movimento operaio nel dopoguerra in Italia e in Europa è stato egemonizzato sostanzialmente da partiti riformisti, i quali, avendo assunto di fattto il capitalismo come orizzonte storico, non avevano la benchè minima intenzione di costruire organizzazione rivoluzionaria e hanno invece costruito modelli di rappresentanza politica nel blocco sociale destinati alla mediazione e alla ricomposizione del conflitto di classe sul terreno istituzionale.
In Italia a questo modello, teorizzato da Togliatti "come partito nuovo", si sono conformate tutte le organizzazioni riformiste del dopoguerra, dal PCI al PRC. Questo modello è stato - e continua ad essere - uno degli ostacoli principali alla costruzione di un movimento comunista rivoluzionario.
Questo modello di partito riformista è entrato in crisi e ciò contribuisce a far superare l'illusione, secondo cui le riforme si ottengono con la mediazione istituzionale e non con il conflitto sociale. Come si diceva : le riforme sono una cosa troppo seria per lasciarle ai riformisti.
Tuttavia nel nostro contesto il problema con il quale ci dobbiamo confrontare non è soltanto quello se i partiti riformisti siano o meno entrati in crisi, ma quello se il partito comunista così come esso si è appunto "storicamente determinato", quello che ha guidato le rivoluzioni vere, non virtuali e soprattutto vincenti, sia o meno "storicamente" superato oppure se esso, come io credo, è ancora necessario per assolvere il compito di abbattere lo stato borghese e per la costruzione della società comunista.
Le politiche riformiste proposte da partiti come Rifondazione Comunista non possono avere alcuna rispondenza in questa fase, anche perché le riforme sono state storicamente uno dei risultati del conflitto sociale e di classe, all'interno di un quadro nazionale ed internazionale che oggi non esiste più.
Non è detto che non sia possibile guadagnare parziali risultati sul terreno del salario, dell'orario, dell'occupazione, dei diritti, dello stato sociale all'interno di strutture capitalistiche e borghesi, ma il tutto è strettamente subordinato ad una politica di rottura rivoluzionaria con il potere della borghesia. Per questo, a mio avviso, sono più accreditati a parlare di riforme i rivoluzionari che non i riformisti.
Sarebbe un errore credere che la crisi e il progressivo peggioramento delle condizioni di vita, di per sé possano condurre ad una mobilitazione rivoluzionaria delle masse. Ma sarebbe un errore altrettanto e più grave se i comunisti non cogliessero l'aspetto principale della fase che non è solo la "crisi ideologica del riformismo", ma la "crisi economica del capitalismo" e l'accentuarsi delle contraddizioni dei poli imperialisti.
Certamente è vero che la riduzione di spazi per le riforme che la crisi produce tende a ridurre gli spazi di mediazione sociale ed istituzionale, ma non è automatico che ogni rivendicazione economica o sociale diventi un fatto politico.
Già Lenin all'inizio del secolo aveva chiarito che la semplice "lotta economica contro i padroni e il governo" ha una chiara matrice economicista e che l'economicismo conduce invariabilmente ad una ideologia borghese. E' l'obiettivo strategico dell'abbattimento del capitalismo e la creazione degli strumenti idonei a perseguire questi obiettivi che definiscono un partito in senso comunista e rivoluzionario.
In futuro dovremo saper distinguere il livello dell'organizzazione politica dal livello delle alleanze, mettendo al bando pregiudizi di carattere ideologico e dispute settarie che producono come unico certo risultato la perpetuazione degli errori, l'estraneità dagli interessi dei settori sociali che si vogliono rappresentare e l'inefficacia dell'azione politica.

Non si può più pensare ad un luogo politico dove convivono concezioni diametralmente opposte o dove si facciano prevalere le origini di provenienza. L'idea dell'aggregazione, come fase transitoria verso la costruzione del partito, è corretta, ma deve fondarsi sulla condivisione delle questioni di principio e sul dissolvimento progressivo delle strutture preesistenti.
E' inutile stare insieme oggi per dividersi domani. Meglio restare divisi e stabilire forti legami nelle lotte, nella mobilitazione e nella reciproca solidarietà.

Certo, come noi sosteniamo nel documento fondativo della C.C.A., il cui impianto non solo è tuttora valido ma deve costituire la base da cui ripartire, non esiste un pensiero unico comunista, forse non è mai esistito. Questo è un fattore positivo. Ma ciò non toglie che ogni organizzazione rivoluzionaria in ogni parte della terra, in ogni fase storica, si sia organizzata prima o poi in Partito e non in Confederazione. Questo è chiaro.
In ogni epoca storica i comunisti hanno sperimentato forme di organizzazione adatte ai compiti che avevano di fronte e anche noi dobbiamo fare altrettanto, senza innamorarci delle esperienze del passato dalle quali dobbiamo trarre gli insegnamenti utili ai compiti che oggi abbiamo di fronte.
La forma partito delle organizzazioni rivoluzionarie del '900, e in special modo di quelle che hanno avuto la fortuna di guidare vittoriosamente il proletariato, è stata abbastanza simile sia nella struttura organizzativa, sia nel metodo. In realtà la diversificazione si è avuta principalmente nelle modalità di sviluppo del processo che ha condotto alla formazione dei vari partiti comunisti.
In Russia il partito marxista, il POSDR, è nato su base concettuale molto simile ad una confederazione di gruppi, riviste, militanti. Il PCd'I è nato in modo scissionistico dal PSI. Il partito comunista cinese è nato da un piccolissimo gruppo di militanti e si è allargato nel corso degli anni attraverso un'opera di intervento nelle realtà di massa.
Alcune di queste opzioni sono ancora di fronte a noi.
Se pensassimo ad esempio di costruire una organizzazione rivoluzionaria a partire dalla scissione da un partito riformista, come Marco Ferrando, dovremmo restare o tornare in Rifondazione Comunista.
Se invece pensiamo che lo stato di profonda disgregazione politica (dei comunisti) e sociale (del proletariato) necessiti innanzitutto di una fase di aggregazione all'interno di una struttura dove sviluppare un forte dibattito di carattere politico e teorico, avendo immediatamente la possibilità di essere un soggetto politico dotato di iniziativa di massa, presente nelle grandi fabbriche del paese e dotato di relazioni ed alleanze politiche con settori esterni, basato sulla comune condivisione di un impianto generale di carattere politico e teorico, allora possiamo continuare sulla strada intrapresa, purché la precisazione dei caratteri politici, organizzativi, programmatici e teorici non resti un desiderio, ma diventi la pratica quotidiana dell'organizzazione, senza forzature eccessive, ma anche con la chiara consapevolezza degli obiettivi strategici e di fase.
Detto questo, noi oggi non siamo in una condizione né rivoluzionaria, né pre-rivoluzionaria. Esistono molte contraddizioni, esistono segnali anche importanti, ma il livello di soggettività espresso dal movimento comunista è ancora largamente insufficiente.
I comunisti sono divisi, frammentati, spesso auto-referenziali, settari. Insomma la situazione non è rosea.
Ed è proprio per questo che un anno fa abbiamo pensato di organizzarci su base confederativa, rigettando la formula dei cosiddetti "intergruppi".
Abbiamo ritenuto che in quella fase vi fossero le condizioni affinché alcune esperienze politiche potessero, pur nelle loro differenze, confrontarsi all'interno di un'ipotesi politco-organizzativa basata su alcuni elementi di fondo e di principio.Il risultato possiamo dirlo è quello di un fallimento.
Ma non è sufficiente constatare il fallimento se non se ne indagano le motivazioni.
Dobbiamo fare un bilancio serio ed approfondito di questa esperienza per trarne i giusti insegnamenti. Noi non dobbiamo mettere la testa sotto la sabbia come fanno tutti quei gruppi e gruppetti che vedono un po' tutto, eccetto la loro assoluta autoreferenzialità e marginalità.
Se la C.C.A. non è riuscita a fare il salto di qualità auspicato è perché paradossalmente è stata vissuta ed ha funzionato come un insieme di piccoli partiti che non come una vera confederazione. Ma questo può essere anche compreso: non si getta alle spalle da un giorno all'altro una cultura politica ed un metodo di lavoro. Non basta neanche la buona volontà, ci vuole tempo per vedere una effettiva trasformazione, che evidentemente è tanto più difficile quanto più lungo e sedimentato è il percorso politico.
Quello che si è visto chiaramente in questi mesi – ed è un'autocritica, ma non solo – è che, senza un gruppo operativo efficiente e tempestivo, senza propri organi di propaganda, abbiamo avuto in alcune circostanze una capacità di mobilitazione e di iniziativa politica inadeguate. Non sono state solo le difficoltà oggettive a paralizzarci, ma anche una sorta di nostro senso di inferiorità che alcuni di noi hanno interiorizzato.
Così, come è stato fino ad oggi, non funziona un partito, ma neanche la più sconclusionata delle organizzazioni.
Le continue defezioni dei promotori, le dichiarazioni di pubblica dissociazione da parte di responsabili nazionali, l'insufficienza di direzione politica, hanno portato la C.C.A. alla paralisi attuale.
In un anno non abbiamo fatto un passo avanti, anzi ne abbiamo fatto qualcuno indietro, sul terreno della maggiore omogeneità politica, ideologica, organizzativa ed anche delle relazioni personali.
Se dovessimo giudicare il modello confederativo sulla base della sua concreta realizzazione, come si dovrebbe in larga parte fare, dovremmo concludere che l'idea stessa della confederazione è un vero e proprio abbaglio, dal quale congedarsi nel minor tempo possibile.

Eppure quali sono le alternative? Anzi vi sono alternative?

L'accelerazione immediata verso il partito sarebbe un grave errore. Non ci sono le condizioni necessarie e le auto-proclamazioni, come detto il 7 febbraio, sono sempre sbagliate e si ritorcono contro chi le enuncia. Io ritengo che l'attuale livello di aggregazioni debba essere una tappa verso la ricostruzione del partito comunista. Se al termine di questi lavori, si valuterà che esistono forze, volontà e condizioni per procedere, occorrerà darsi una impostazione, la più largamente condivisa, dal punto di vista ideologico e politico; un programma adeguato alla fase e alle forze che siamo in grado di esprimere, basato su un'analisi approfondita della crisi capitalistica e delle forze soggettive che esprime attualmente il movimento operaio e quello comunista.
Occorreranno una maggiore e migliore definizione dei termini politici ed organizzativi; e si dovrà costituire un gruppo dirigente, efficiente e autorevole. Si renderà necessaria una precisazione nelle relazioni politiche con altri percorsi; un maggior radicamento nelle fabbriche, nei luoghi di lavoro in genere, e nei luoghi di studio.
La volontà è utile, il volontarismo no, se queste condizioni, alcune delle quali sono parzialmente presenti, non si sviluppano e non si riunificano in un percorso politico, il partito resterà una speranza o sarà una semplice auto-proclamazione.
La pura testimonianza politica in un piccolo gruppo può servire per altri scopi e per salvarsi la coscienza, ma non certo per costruire un'ipotesi di trasformazione rivoluzionaria della società.
A questo punto non restano che due strade, entrambe legittime e rispettabili :
La prima è la chiusura dell'esperienza politica della C.C.A. e la dispersione delle forze e delle strutture che ha sin qui, seppure contraddittoriamente, aggregato.
La seconda, ed è la strada che io propongo, è quella della "costruzione si un soggetto politico comunista che dall'opposizione, in forma organica avanzi un progetto per il superamento del sistema capitalistico", così era scritto nel documento sottoscritto da molti compagni/e un anno fa.
Sono convinto che nel nostro paese ci siano gli spazi sociali e politici per lavorare in tal senso. Se così è, emerge un nodo finora eluso, vale a dire quello del partito, delle tappe, delle fasi, certo non lineari della sua costruzione, a mio avviso è necessari aprire una discussione in tal senso, evitando l'errore di considerare inattuale in questa fase lo strumento - soggetto partito. Sono consapevole che un partito comunista non si fonda autoproclamandolo scambiando i propri desideri con la realtà, ma è altrettanto vero che è ormai necessario riflettere e lavorare per indicare il percorso verso cui si vuole tendere ; definendo un programma di fase.
Ritengo, quindi, sia necessario che fin da ora il coordinamento nazionale, avvii la fase di tesseramento individuale alla Confederazione. Abbiamo la necessità di conoscere, capire le forze di cui disponiamo, quale è il quadro militante dell'organizzazione. Penso al tesseramento non come fatto burocratico, ma come occasione di costruzione nei luoghi di lavoro e sul territorio dei comitati di base formati da militanti e da quadri.

Occorre infine che si lavori da oggi per costruire una scadenza congressuale entro il 1999, sulla base di un nuovo documento politico (tesi) sottoposto alla discussione dei comitati di base.

Questo documento dovrà precisare e sviluppare alcuni punti già contenuti nel documento fondativo della CCA : la centralità proletaria con i suoi processi di scomposizione e ricomposizione ; la ricostruzione di un blocco sociale anticapitalista ; l'emergere delle contraddizioni intercapitalistiche a livello mondiale come conseguenza della unificazione monetaria europea ed infine la definizione delle modalità di costruzione di un soggetto politico comunista che superando l'ipotesi confederativa si ponga l'obiettivo di dar vita ad una organizzazione comunista. Insieme a tale documento andrà presentato alla discussione dei compagni in previsione di tale scadenza congressuale anche un regolamento organizzativo, che rappresenti un insieme di regole circa l'adesione, la formazione di gruppi dirigenti e la loro verifica politica, in sostanza una bozza di statuto che regoli la vita democratica interna dell'organizzazione nella sua fase di transizione.
Compagni gli obiettivi che con molta difficoltà e senso di responsabilità sto proponendo, sono ovviamente subordinati alla verifica concreta di disponibilità da parte di compagni che fin ora sono stati dentro il nostro percorso, ma anche di compagni che sono stati fino ad oggi un po' defilati , per motivi di varia natura. La fase che a precise condizioni e con molta cautela si dovrà avviare dovrà prevedere anche i seguenti passaggi e scadenze :

A) Il lancio immediato di una campagna nazionale e di una mobilitazione contro i tentativi autoritari del Governo D'Alema - Treu di restringere ulteriormente gli spazi di libertà di sciopero e sindacale, modificando in senso restrittivo la legge 146/90. L'iniziativa del Governo e della Confindustria tende di fatto a colpire la libertà d'iniziativa e d'organizzazione del sindacalismo autorganizzato ed anche di quello extra confederale.

B) L'organizzazione di un'assemblea nazionale da tenersi entro la fine di febbraio del 1999 a Milano, con la quale si rilanci il progetto oggi precisato e si ridefinisca la nostra posizione politica. Tale scadenza dovrà essere preparata attraverso l'organizzazione di riunioni - assemblee regionali e con la stesura di un manifesto e di un volantone che sintetizzino le ragioni del rilancio politico e dell'assemblea nazionale. In questo periodo andrà avviato anche un percorso politico con altre forze interessate a porsi su questo terreno. (es. Rete dei Comunisti e Forum).

C) L'impostazione di una campagna politica di propaganda e mobilitazione contro il trattato di Maastricht e per la sua abrogazione. A conclusione di questa campagna si dovrà prevedere l'organizzazione di un Convegno-Seminario sulle conseguenze politiche ed economiche risultanti dall'applicazione del trattato di Maastricht e dall'introduzione della moneta unica europea.

D) L'adesione alla campagna per la liberazione dei prigionieri politici di sinistra degli anni 70 e 80.

E) L'individuazione, con modalità che dovremo decidere di un gruppo dirigente operativo a livello nazionale, che al suo interno indichi uno o due coordinatori e che proceda all'attribuzione di precisi incarichi di lavoro con conseguenti piene responsabilità.

Questo organismo si assumerà anche il compito di preparare un foglio d'informazione e propaganda con cadenza almeno bimestrale.
Insisto sul carattere nazionale della nostra iniziativa, perché soluzioni pasticciate con caratteristiche localistiche risulterebbero inadeguate rispetto alle condizioni oggettive e soprattutto ininfluenti ed inefficaci rispetto ai compiti che vogliamo assolvere.
E' con grande pudore e coscienza dei limiti e delle difficoltà che mi sono azzardato a fare queste proposte, ma forse, per non perdere un'occasione storica, varrebbe la pena di cominciare e di tentare.

Giorgio Riboldi

Roma, 15 novembre1998