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Sul superamento del PRC
Compagne e compagni del circolo del Partito della Rifondazione Comunista (PRC) di Viterbo

Siamo compagne e compagni del circolo del Partito della
Rifondazione Comunista (PRC) di Viterbo, in veste sia di
componenti il direttivo che di semplici iscritte/i . Non
parliamo a nome di correnti organizzate: aldilà della
bontà delle singole mozioni, la frammentazione correntizia ha
indubbiamente contribuito a creare questa situazione. Non
abbiamo neppure seguito, nel recente passato, scissioni dal
sapore squisitamente personalistico o aderito ad aree
programmatiche per stare con un piede dentro e l’altro fuori
in attesa degli eventi. Abbiamo al contrario deciso,
nonostante tutto, di restare nel Partito e di condurre in
suo nome diverse battaglie, nella fattispecie su temi come:
lavoro, questioni di genere, scuola pubblica, ambiente e
memoria storica, in un contesto cittadino decisamente
difficile ed ostile.

Ultimamente sembrano però venir meno i requisiti minimi
per garantire la nostra militanza in questa formazione, o
meglio: veniamo a sapere che in realtà il Partito è in
fase di liquidazione, in assenza tra l’altro d’un adeguato
dibattito in merito al suo interno, e per cui ci sentiamo
in dovere di redigere questo documento onde precisare quali
siano le nostre posizioni. Impossibile elencare, tra
congressi e conferenze organizzative, tutte le tappe del
processo che va concludendosi con la cancellazione di
quest’esperienza chiamata Rifondazione.

Facendo una forzata sintesi: si è passati dall’opposizione
alle “due destre” (1998-‘01) alla fusione nei movimenti del
periodo successivo, alla quale però si è accompagnata,
col grimaldello della nonviolenza, una progressiva presa di
distanza dal comunismo che, a rigor di logica, d’un partito
comunista dovrebbe rappresentare la ragion d’essere.
Qualcosa già non quadrava. Il tutto s’è sintetizzato nel
diktat: superare le categorie del ‘900, come se questo
secolo fosse stato - aldilà delle valutazioni sul
socialismo reale - una cosa a sé, sganciata dalle epoche
precedenti, e senza considerare che quelle categorie
ideologiche esplicatesi nella politica del XX sec. siano
state in realtà elaborate nel corso dei due secoli
precedenti.

Quest’abiura del proprio passato, basata su d’una lettura
alquanto discutibile della storia umana, ha comportato in
più casi l’apertura al revisionismo strumentale, anche il
più becero. A livello locale, ad es., ci siamo trovati in
imbarazzo quando, dinanzi a quei gravi fatti di violenza
fascista che sempre si presentano nella nostra città, non
è mancato nel PRC chi, inserendolo nelle categorie
novecentesche (quindi violente), ha avanzato la proposta di
superamento dell’antifascismo. Di questo passo ci si è
così trovati alla fusione nel centrosinistra (2005), con un
colpo di spugna sulle profonde lacerazioni createsi, non a
caso, per più d’un decennio con la sinistra moderata e su
questioni non certo irrilevanti (guerra, allineamento
totale con l’imperialismo americano, liberismo,
subalternità alle gerarchie ecclesiastiche e l’elenco non
finirebbe mai).

Tutto ciò per la partecipazione ad un’esperienza
governativa che ora può dirsi, sfidiamo chiunque a dimostrare il
contrario, tutt’altro che soddisfacente. È il caso di
ammettere, semmai, che in base ai presupposti coi quali
oggi si sostiene che questo governo stia comunque operando
bene, in passato si sarebbe potuto partecipare a qualsiasi
esecutivo democristiano. Sembra anzi che il portato del PRC
sia utile essenzialmente all’opposizione (pur oggi presa da
problemi d’altro genere) per dire, chissà quanto
sinceramente, che il governo Prodi è schiacciato
sull’estrema sinistra. Ora siamo all’estinzione del Partito
stesso.

Grazie principalmente alla frammentazione interna, le svolte
di cui sopra sono state perlopiù legittimamente sancite
in sede congressuale, seppur non in termini chiarissimi e con
maggioranze non certo plebiscitarie. Siamo dell’avviso
però che negli ultimi mesi i processi si siano, per così dire,
accelerati e che il gruppo dirigente del PRC stia prendendo
decisioni inconsulte quanto scellerate da porre poi dinanzi
ai militanti come fatto compiuto: prendere o lasciare.
Ciò che è più allarmante è che non si tratta ora di
decisioni stabilite nelle normali sedi deliberanti ma a suon di
editoriali d’opinione e sparate - anticastriste, piuttosto
che antichaviste, antimaoiste o chissà cos’altro - dalle
colonne del quotidiano vicino al Partito “Liberazione” e in
ospitate televisive, dove rappresentanti PRC, o
intellettuali a loro “organici”, ufficializzano a chiare
lettere che il comunismo è superato, fino a farlo
assurgere a categoria negativa, così come i suoi simboli e
denominazioni, di modo da poter passare al famigerato
“dell’altro”.

L’altare sul quale si sta sacrificandoli tutto è il nuovo
soggetto politico unitario, un partito unico frutto della
fusione con Comunisti Italiani (PDCI), Sinistra Democratica
(SD) e Verdi. Un partito del quale si sente l’esigenza a
seguito della nascita di quello Democratico (PD) - nonché
delle possibili modifiche al sistema elettorale - e della
mancanza, adesso in Italia, d’una formazione
socialista-riformista considerevole, come dire: essere
socialdemocratici è un lavoro sporco che qualcuno dovrà
pur fare.

A sentirli, questi strateghi “dellaltristi”, l’investitura
popolare per questo nuovo soggetto sarebbe venuta dalla
manifestazione del 20 ottobre. A noi quella manifestazione
dice tutt’altro: un milione di bandiere rosse con la falce
e martello, portate orgogliosamente da militanti PRC e PDCI
che hanno tenuto a ribadire la propria identità politica,
in un contesto ove due dei partiti che andrebbero a formare
questo nuovo soggetto, SD e Verdi, non c’erano! Papabile
segretario del nuovo partito - stando sempre alle voci che
circolano -, l’attuale governatore della Puglia Nichi
Vendola; proprio questi si è reso protagonista
dell’episodio a nostro avviso più controverso, nella sua
partecipazione alla puntata de “L’Infedele”, in onda su La7
mercoledì 21 novembre, eloquentemente intitolata “Dopo la
falce e il martello”.

Vendola ha qui esplicitamente condannato il comunismo tout
court, con parole che avrebbero fatto invidia al
reazionario più inferocito. Perché certe istanze
vengono liberamente enunciate nelle trasmissioni d’approfondimento
politico e smentite nel dibattito interno al Partito?
Veniamo ora a sapere, sempre da mezzi di comunicazione
esterni, se non estranei, al PRC, che l’8 e 9 dic. prossimi,
in violazione tra l’altro dei principi statutari del PRC
stesso, si dovrebbero tenere gli stati generali dei vertici
dei quattro partiti che andranno per fondersi, con tanto di
presentazione di simbolo e nome del nuovo soggetto: si
vocifera d’un arcobaleno con la didascalia “La Sinistra”
(che sforzo!).

Quando mai ciò è stato proposto nel dibattito interno?
Quando le/gli iscritte/i sono stati informati di questi
propositi? Questo soggetto, per giunta, renderà obsoleto
il già discutibilissimo quanto scialbo progetto di Sinistra
Europea (SE), a suo tempo avviato per il superamento del
Partito in altri termini, inglobandolo in un gioco di
scatole cinesi: il PRC confluisce in SE che a sua volta
confluisce nel nuovo soggetto ove, è banale dirlo, l’idea
comunista rappresenterà nient’altro che una corrente
interna assieme ad altre, anche marcatamente anticomuniste.
Che garanzie d’agibilità ci darebbe questo partito? Siamo
sicuri che con le altre forze politiche coinvolte pesino
più gli elementi di unione che di divisone?

Per quanto riguarda SD, si tratta d’una forza politica la
quale discriminante di base col PD è data dal desiderio
di permanenza nell’Internazionale Socialista, e che ha
sostenuto, e oggi continua a sostenere, le scelte
fondamentali del centrosinistra, dalla guerra nel Kossovo a
quella in Afghanistan, per dire degli aspetti più gravi,
che vedevano ostile il PRC. Per gli altri partiti torniamo a
faccende specifiche della nostra città: in questi giorni
si è avuta la conferma ufficiale che a Viterbo avverrà la
costruzione del terzo scalo aeroportuale del Lazio; si
tratta di uno scempio in termini d’impatto ambientale e di
salute dei cittadini, in favore di una compagnia low-cost
come la multinazionale irlandese Ryanair, celebre per far
profitto sul precariato agendo nel mercato del lavoro con
leggi da terzo mondo.

La battaglia contro la costruzione di questo scalo vede il
circolo PRC in prima linea, quando SD si dice favorevole e
il PDCI addirittura si pavoneggia per aver svolto un ruolo
di mediazione col “compagno ministro” dei trasporti Bianchi
, in nome di questa “grande occasione di sviluppo per il
territorio”. Questo per dire che verrebbe automaticamente
meno il pur generico antiliberismo di cui questo soggetto
si dovrebbe ammantare. Circa i Verdi, va detto che nella
realtà viterbese, ma forse anche altrove, aldilà dei
risultati elettorali, non sono nei fatti un vero e proprio
partito: solo a tratti ne assumono pubblicamente le
sembianze. Il loro reclutamento significherebbe più che
altro l’inclusione di qualche pur rispettabilissima
personalità dai molteplici impegni e risvolti (ARCI, WWF,
Legambiente, LAV e comitati vari) e poco più.

Sia ben chiaro, la collaborazione con queste forze è per
noi quanto di più prezioso. Abbiamo condotto assieme le
recenti mobilitazioni antifasciste e continueremo a collaborare
strettamente con loro nel rispetto reciproco e laddove ci
sarà bisogno. Ma nello stesso tempo siamo seriamente
perplessi sul fatto che con queste forze si possa convivere
addirittura nello stesso partito, per i motivi appena
elencati, e non solo quelli. Ci potrebbe essere certo la
preferibile ipotesi di confederazione ma, stanti così le
cose, essa rappresenterà solo l’anticamera del partito
unico. Rivendichiamo perciò la conservazione del Partito,
dei suoi simboli e della sua denominazione. Non è il
nostro un atteggiamento fideistico: ci basiamo su dei dati di
fatto.

Se è vero che nomina sunt consequentia rerum, il
cambiamento del nome e del simbolo non è soltanto una scelta
estetica: si vuol cancellare un’intera cultura, rinunciando a quel
“movimento reale che abolisce lo stato di cose presente”
(C. Marx), che il PRC ha da sempre impresso sulla tessera,
per trasformarlo in un’opzione correntizia immersa in un
calderone politico.

Quello che più ci sta a cuore è la vita quotidiana:
serbiamo dubbi sul fatto che nella battaglia politica di tutti i
giorni una formazione politica insipida, come quella che si
sta per creare, possa divenire punto di riferimento per il
mondo del lavoro, per il precariato, per gli immigrati e
per i giovani quanto un partito comunista, soprattutto oggi
che occorre fronteggiare una massiccia diffusione
dell’estrema destra nei quartieri, che riguarda in
particolar modo giovani in cerca di risposte e prospettive.

Siamo convinti che con la coscienza di sé, camminando
sulle proprie gambe, si possa andar lontano: per diversi PC la
diluizione si è dimostrata un totale fallimento. In
Francia la svolta “non comunista” del PCF ha portato alla quasi
scomparsa del PCF; in Spagna Yzquerda Unida, pur nata con
presupposti specificatamente anticapitalisti, ha portato
alla scomparsa del PCE. E che dire delle vicende che in
Italia hanno portato dal PCI al PD? Questo è un altro
punto su cui ci preme insistere: vogliamo che quel percorso
iniziato con la Bolognina nel 1989 e conclusosi quest’anno
sia da considerarsi come esempio dal quale prendere le
distanze. Ci sembra invece che per questo partito in fieri
se ne vogliano prendere le mosse.
Almeno per scaramanzia sarebbe stato opportuno non parlare di
“cosa rossa”: la “cosa” era il PDS di Occhetto (1991), la
“cosa 2” erano i DS di D’Alema (1998). Sappiamo tutti
com’è andata a finire. Qualcuno vuol fare per caso lo stesso? Lo
dica chiaramente! Noi intendiamo muoverci invece nella
direzione diametralmente opposta. Siamo per il rilancio
dell’autonomia, se non dell’indipendenza, comunista: sarebbe
indegno batter ritirata proprio ora che si sta scatenando su
scala internazionale una nuova ondata anticomunista, in
Italia recentemente concretizzatasi nella proposta del
deputato UDC Volonté d’introdurre l’apologia di
comunismo.
Un’ondata non dovuta, anch’essa, al caso: secondo i
pronostici dei sostenitori della “fine della storia”, il
socialismo si sarebbe dovuto estinguere col collasso del
blocco sovietico, con effetto domino. Così non è stato:
molte esperienze socialiste (da non intendersi come
socialdemocratiche, è chiaro), certo tra mille
difficoltà e contraddizioni, hanno assorbito i colpi di quel collasso
proseguendo il loro percorso.

Altre realtà invece - cosa qualche anno fa relegabile alla
fantascienza - si stanno ora avviando pur faticosamente al
socialismo, come accade in America Latina, traendo spunto
anche dalle esperienze rivoluzionarie del ‘900 (Russia
sovietica, Cina, Cuba e Vietnam su tutte), mentre
l’imperialismo guerrafondaio che sta mettendo a ferro e
fuoco il pianeta vede il suo picco d’impopolarità.

Non è questa certo la sede per un dibattito approfondito
sul concetto di comunismo ma per noi l’essere critici con le
esperienze comuniste realizzate non coincide affatto con
l’abiura verso quelli che ne sono i presupposti: questa
fino a poco tempo fa era la posizione del PRC... Come
rendere questa autonomia, oppure indipendenza, effettiva?
Bisogna partire proprio dalle sedi del Partito; i circoli e
le federazioni non debbono essere luoghi di riunione per
funzionari intenti a spartirsi gli incarichi ma centri
vitali d’irradiazione della coscienza politica, del sapere,
del dibattito e quindi dell’appartenenza.

Fatto ciò il Partito deve rifuggire dai salotti e
rifiutarne la blandizie per tornare ad essere massicciamente presente
nei luoghi di lavoro, di studio, nelle periferie e ovunque
si presentino con più veemenza i disagi sociali e civili.
Questi sono i requisiti indispensabili per ogni prospettiva
di rilancio.

Non si debbono attendere i movimenti, ci si deve semmai
“movimentare” di proprio. Sulla scia dell’assemblea
d’autoconvocazione degli iscritti, tenuta a Firenze il 25
novembre, e nella speranza che queste nostre riflessioni
siano utili per riavviare un dibattito e mandare un segnale
chiaro, attendiamo di sapere che cosa pensano a riguardo e
cos’hanno intenzione di fare, nel Viterbese come altrove,
le altre realtà vive del PRC, aldilà delle correnti
d’appartenenza.

Approvato all’unanimità nella riunione del direttivo di lunedì 3/12/2007

Per contatti: prcviterbo@libero.it