COME NASCE E CHE COSA È LA TAV
intervento di Antonello Brunetti

Sino a Tangentopoli il sistema del passaggio di mazzette era abbastanza scoperto e rozzo. Esistevano due cupole, quella imprenditoriale e quella politico-amministrativa. Raramente avveniva un rapporto diretto fra chi versava e chi riscuoteva. Per il passaggio esistevano gli intermediari, i Pacini Battaglia per capirci, affiancati dai boiardi di Stato, dai tecnici, dai progettisti che agevolavano o bloccavano gli stati di avanzamento, le perizie suppletive, i ricarichi sull’appalto. Non era necessario inevitabilmente pilotare gli appalti, si poteva anche intervenire successivamente sulle ditte vincitrici.
Anche per l’Alta Velocità dapprima si pensa di agire così e i diari di Lodigiani confermano la presenza di tangenti per la Bologna-Firenze.
É proprio nel 1990-1992 che ci si inventa il sistema TAV creando uno scatolone vuoto. Privo di capitali e di capacità tecniche. La sua unica funzione è quella di fare da intermediario fra pubblico e privato. Sparisce il sistema classico, ad esempio di un Comune che fa un appalto per un campo sportivo e, sulla base del criterio impostato in precedenza, vince e opera la ditta che ha fatto l’offerta migliore.
Sono Cirino Pomicino e Necci che inventano il sistema TAV spa, una società di diritto privata che non fa parte della amministrazione pubblica e che ha il compito di far preparare i progetti e gestire le assegnazioni. Essendo una società privata i suoi debiti rimangono fuori dalla contabilità pubblica e in questo modo decine di miliardi di lire di debito rimangono fuori dal Bilancio statale superando così i limiti imposti da Maastricht. La TAV non fa praticamente nulla ed è totalmente incompetente. Unico obiettivo quello di gestire l’immagine della operazione (convegni, pubblicazioni, pubblicità) e soprattutto fare da intermediario. “L’affare del secolo” nasce con sei tratte ad A.V. alle quali si aggiunge qualche mese dopo quella anomala della Genova-Milano per accontentare gli esclusi e soprattutto la vecchia Montedison.
La TAV privata deve gestire i soldi dei privati. Questa la grossa frottola che verrà diffusa in tutta Italia dal 1992 al 1998. Cosa assolutamente falsa poiché il famoso 60% dei finanziamenti di origine privata non si vedrà mai, neppure una lira è stata spesa dai privati. Ci sono stati, è vero, prestiti da parte di banche, ma tutti garantiti dal Ministero del Tesoro.
Noi dei Comitati sostenemmo questa verità fin dalle Osservazioni presentate nell’agosto del 1992, e si dovette attendere il 1998 prima che un uomo politico, in questo caso il ministro Burlando, dicesse a chiare lettere che i privati non avevano tirato fuori una lira. È in questa occasione che la TAV diventa pubblica e restituisce le poche quote messe a disposizione delle banche.
Il 7 agosto del 1991 lo Stato deliberò di mettere a disposizione il 40% della cifra complessiva per l’Alta Velocità, allora quantificata in 26.000 miliardi di lire, ossia versò 12.000 miliardi. Tali finanziamenti esclusivamente pubblici derivano da prestiti che comportano interessi intercalari che nel 2002 hanno richiesto 350 milioni di euro, 550 nel 2003 e 700 nel 2004.
È previsto che dal 2010, data in cui si presumeva che l’Alta velocità sarebbe entrata ovunque in funzione, oltre agli interessi intercalari, che allora saranno intorno ai 17.000 miliardi di lire, scatterà la restituzione entro vent’anni del capitale complessivo che, secondo nostri calcoli sarà cresciuto a 88 miliardi di euro ossia del 623% rispetto al 1991. E dove prendere i soldi per pagare interessi e restituire il capitale (un contributo annuale previsto intorno ai 6.000 miliardi di vecchie lire), visto che ormai è convinzione degli stessi gestori delle Ferrovie che le entrate derivanti dalla gestione non supereranno il 15% delle spese sostenute? Dato che il ministro Lunardi ha ormai acquisito il nomignolo di la talpa mi pare appropriato raffrontare questa architettura contrattuale incentrata sulla scatola vuota della TAV come una talpa che sta scavando sottoterra e che poi, fra pochi anni, emergerà e allora, non me ne vogliano le reali e simpatiche talpe, saranno lacrime e sangue per le casse pubbliche italiane e sinceramente penso che sarà difficile ripianarle. E ricordiamoci che stiamo parlando solo di Tav e che la stessa cosa vale per Ponte di Messina, Mose, e tutte le altre opere della legge obiettivo con un debito pauroso che renderà impossibile gestire il risanamento economico dell’Italia.
E tutto questo mentre le linee di un vecchio ma sano sistema ferroviario vanno allo sfascio senza alcun intervento di riqualificazione e di ammodernamento; mentre il personale è stato ridotto da 210.000 addetti a 100.000; mentre le efficienti officine di manutenzione, ricche di professionalità, sono state interamente smantellate; mentre si tagliano i fondi per garantire la sicurezza e si impone il macchinista unico; mentre si eliminano le cosiddette tratte non redditizie anziché potenziarle per poterle rendere produttive, mentre si elimina la tecnologia tutta italiana del Pendolino con enormi possibilità di espansione produttiva sostituendolo con il macchinone ETR 500, non prodotto da noi, pesantissimo e squassabinari. L’unica cosa a non essere tagliata sono gli appannaggi ai dirigenti e le società che ruotano intorno alle Ferrovie e che producono se stesse, montagne di carta, consulenze a gogo e immagini pubblicitarie.
L’incredibile è che il governo, pur assorbendo la TAV, ha lasciato e legalizzato la sua vecchia funzione. In Europa sono ammessi due tipi di contratti fra pubblico e privato. Se il pubblico ha i soldi fa un contratto d’appalto e controlla tutto quel che esegue la ditta appaltatrice.
Se non ha i soldi può fare un contratto di gestione per cui la ditta fa l’intervento a proprie spese e ottiene in cambio la gestione dell’opera per tot anni per cui ha tutto l’interesse di realizzare un’opera fatta per bene e che funzioni perfettamente per tutti gli anni di concessione e nello stesso tempo sa che corre un rischio. Ad esempio se un Comune mi affida il compito di realizzare un campo di calcio per poi consentirmi di rientrare delle spese con la gestione, so che devo farlo per bene altrimenti devo chiuderlo per rifare il manto erboso o le tribune e ci rimetto. Per di più se la squadra che gioca su quel campo non va bene il pubblico si ridurrà e, senza colpa alcuna mia, ci rimetterò (il rischio).
Con la legge obiettivo il general contractor non partecipa a nessun appalto, stabilisce lui il prezzo, viene pagato al 100%, ha il massimo potere progettuale consentito, ha tutto da guadagnare se si ritarda o si fanno variazioni poiché comportano maggiori introiti e soprattutto non corre alcun rischio.
Di fronte a questa colossale Truffa nei confronti dello Stato, ossia di tutti noi (ad esempio solo il Terzo Valico costerà a ciascuna delle famiglie italiane dai 250 ai 300 euro) occorre battersi ma non tanto per difendere l’ambiente, il giardino di tutti, ma soprattutto per difendere l’interesse nazionale che viene calpestato da bande di lestofanti in simbiosi, politici e imprenditori, affiancati da una informazione dalla quale sono completamente scomparsi i fatti, le cause, i fini e che si basa su vuoti slogan e su luoghi comuni.
Se ci sarà una forte resistenza, del tipo Val di Susa, allora forse si inizierà una storia diversa che parlerà di treni costruiti per essere utili alla qualità della vita dell’uomo e non di territori e uomini sacrificati nel nome dei treni, della velocità e soprattutto della logica del profitto individuale.
Noi su questa lunghezza d’onda ci troviamo da sempre e, anche se spesso siamo stati trattati con irritata arroganza, definiti sprezzantemente asini raglianti, ambientalisti inutili, candelai o anarco insurrezionalisti, siamo disponibili a discutere e a presentare le nostre proposte articolate, ampie e che esistono fin dall’inizio di questa vicenda, nel 1992. Ciò, e scusatemi se faccio l’apologia dei movimenti, non è facile e dimostra una accettazione della democrazia ad altissimo livello. Noi vogliamo discutere, confrontarci, ascoltare ed esprimere opinioni e vi giuro che non è facile con il muro di gomma di una classe politica rinchiusa nei propri riti, non disponibile a mettersi in discussione, ostile ad ogni espressione che non sia il complimento untuoso dei molti, troppi lacchè. Inoltre, e lo capite certamente, mettersi a dialogare con una classe politica che ha prodotto la TAV richiede uno sforzo immane che non è facile reggere.
Ricordo che alla fine di un suo intervento nell’ottobre del 1992, Alberto Santel, che aveva avuto il compito di spiegare ad una folta assemblea che cosa fosse la TAV, si era chiesto se tanti cittadini dovessero turbare le loro attività e la quotidianità degli impegni di lavoro per presentare pagine e pagine di osservazioni al progetto o non fosse più giusto replicare con un secco commento: “Visti gli antefatti, considerato il progetto si chiede per i responsabili una sola cosa: IN GALERA!”.