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Aggiornamento su Abdellatif Ibrahim Fatayer
Roma, 7 luglio 2007

Decorsi i termini massimi di trattenimento in CPT (90 giorni), Abdellatif Ibrahim Fatayer è stato rilasciato in condizioni di clandestinità, con un ordine di allontanamento entro 15 giorni dalla notifica del diniego dell'asilo politico. Il ricorso al giudice civile non è stato fatto perché avrebbe comportato il trattenimento in CPT di Ibrahim per altri 6 mesi, ma è stata presentata richiesta di permesso per motivi umanitari per procrastinare la data dell'esecutività dell'espulsione a quella della risposta per il permesso umanitario. Non ci attendiamo una risposta positiva: già nel 2007 fu fatta tale richiesta e gli fu negata, perciò non nutriamo molte speranze che tale permesso gli venga concesso oggi. Nutriamo invece speranza nella solidarietà ed è per questo che continuiamo la nostra battaglia per la cittadinanza e l'incolumità di Ibrahim. Negandogli la possibilità di regolarizzarsi in Italia, gli viene resa di fatto la vita impossibile, in sospeso tra il CPT e l'espulsione, fin quando non troverà lui il modo di andarsene sulle sue gambe, ma contro la sua volontà, in qualche paese arabo apparentemente tollerante verso i palestinesi, ma poco o affatto sicuro per lui, sollevando in tal modo l'Italia dalle proprie responsabilità e respingendolo di nuovo verso l'illegalità, la guerra, la persecuzione.
Ibrahim non solo ha pagato il suo debito con la giustizia italiana e avrebbe diritto a vivere in pace, ma possiamo affermare, prove in mano, che egli è in credito verso di essa. Il suo diario clinico, raccolto dai medici dei carceri in cui è stato recluso, parlano di grandi sofferenze fisiche e psicologiche. I pestaggi subiti nelle carceri italiane, che ne hanno provocato la parziale invalidità, le torture e le umiliazioni subite in 20 anni di inferno all'interno di una struttura che ipocritamente si continua a definire "rieducativa" sono la punta di un iceberg che inizia ad emergere solo ora e che comunque vada a finire questa storia non passeranno sotto silenzio.
Indipendentemente dalla volontà di Ibrahim riteniamo giusto e sacrosanto denunciare quanto succede in queste "cattedrali" della sicurezza, dove il "diritto" si ferma alla soglia del primo cancello.
Per motivi logistici e di opportunità, dopo il 7 luglio abbiamo interrotto l'aggiornamento del blog sul suo caso. Il rumore mediatico successivo alla scarcerazione di Ibrahim non è servito ad aumentare la solidarietà intorno a lui, semmai a facilitarne il monitoraggio in Italia come clandestino, in attesa di trovare una soluzione per il suo allontanamento consensuale dal suolo italiano, cosìcché sia lui ad assumersi la responsabilità di quanto potrebbe accadergli fuori dall'Italia. Viceversa, qualora decidesse di restare clandestino in Italia, sarà sempre lui ad assumersi la responsabilità di quanto potrebbe accadergli in questo paese (detenzione in cpt, carcere, una vita da clandestino, rapimenti ecc.).

Ma Ibrahim fa sapere che se lascerà l'Italia, non sarà per sua volontà.

Ci sono pressioni dagli USA perché questo accada e gli altri paesi, Italia in testa, non fanno altro che assecondarle.
Anche se questo paese si crede assolto, esso è lo stesso e per sempre coinvolto.
E ha la coscienza nera come la pece. Nera, come la sua indifferenza, la sua impunità, le sue complicità. Nera come la coscienza di un paese che ha abdicato la sua democrazia, la sua sovranità, i diritti umani e civili in favore di interessi transnazionali legati al profitto delle multinazionali del petrolio, della guerra e del terrore, di quella che oggi chiamano "sicurezza". L'unica sicurezza che preme a lor signori è quella del Capitale, non certo della pace in Medioriente. L'accordo militare Italia-Israele, siglato nel 2005 durante il precedente governo Berlusconi, non parlava di pace, ma di 181 milioni di dollari da spendere in tecnologie di interdizione, sorveglianza e guerra elettronica. Una pace armata sino ai denti, con l'Italia al settimo posto nel mondo quanto a spese militari, fedele alleato degli USA e di Israele nell'intero bacino mediterraneo. Nella finanziaria del 2006, circa 1,7 miliardi di euro in più sono stati sottratti alle spese sociali per finanziare nuovi armamenti e tecnologie connesse. Motivi di "sicurezza" e "umanitari" hanno giustificato l'iperbolica corsa agli armamenti da parte del governo Prodi. Tra i più importanti beneficiari delle finanziarie di guerra, un posto in primo piano spetta a Finmeccanica (azienda militare-tecnologica per un terzo di proprietà dello Stato, altamente compromessa nei rapporti militari con Israele) e a Vitrociset (azienda italiana di sistemi aerospaziali, radar e telecomunicazioni), guidate da ex generali prima ai vertici della Difesa, a sostenere progetti di riarmo per motivi di "sicurezza" e "umanitari" poi alla presidenza o al Consiglio di amministrazione delle suddette aziende, a realizzare i progetti presentati, intascandone i dividendi.
Per quanto esecrabile per le conseguenze che ne derivarono su un civile inerme, l'operazione dell'Achille Lauro fu un'operazione di guerra partigiana, l'espressione della resistenza di un popolo oppresso contro l'invasore. Quante guerre coloniali il nostro "bel paese" ha condotto sotto lo scudo Nato uccidendo centinaia di migliaia di civili inermi? Quale il vero scopo di queste guerre? Sicurezza, motivi umanitari o più semplicemente il profitto?
Chi ha pagato e continua a pagare per il profitto? Chi è terrorista, devastatore, saccheggiatore? Il padrone che ruba la terra al popolo o il partigiano che la difende?
Ibrahim racconta che quando era a Voghera, nel luglio 2001, non si spiegava come mai le "squadrette" dei GOM fossero sparite tutt'a un tratto dal supercarcere. Lo capì quando vide le sanguinose immagini del G8 e seppe delle torture a Bolzaneto: i "garanti dell'ordine e della sicurezza" erano a portare "ordine e sicurezza" a Genova per richiudere poi centinaia di manifestanti massacrati, nello stesso girone infernale dove lui si trovava da anni, ma in un'altra sezione. I detenuti in sezione E.I.V., dove lui si trovava, solidarizzarono con quei manifestanti, che come loro avevano vissuto sulla propria pelle la violenza di uno Stato prono agli interessi degli 8 grandi padroni della terra.
In tutti i carceri speciali e non, nei CPT, nelle caserme, nelle questure e in tutti i luoghi adibiti agli interrogatori, nelle piazze e nelle strade, i garanti dell'ordine e della sicurezza continuano a seminare il terrore su civili inermi e se ci scappa il morto si assolvono con qualche ricostruzione improbabile, magari adducendo la legittima difesa, l'incidente o l'autolesionismo delle proprie vittime. La voce di chi, pur confinato, resiste e lotta per i propri diritti con scioperi della fame o rifiuto del vitto, non esce quasi mai da quelle mura. L'unica voce che sentiamo, profondamente stridula con la verità, è quella degli aguzzini.
Da Bolzaneto a Voghera, da ogni carcere speciale e non ai CPT, il diritto si ferma fuori dal cancello.
Da Bolzaneto a Voghera, da ogni carcere speciale e non ai CPT, si aspetta ancora giustizia.
A Bolzaneto, a Voghera, in ogni carcere speciale e non, nei CPT, tutti sanno che l'unica giustizia è quella proletaria e rivoluzionaria perché sono i proletari e i ribelli che vanno in galera, non chi si arricchisce sulla loro pelle, non chi li opprime e li reprime.
La giustizia non è un concetto neutro, ma di classe, perché di classe sono i manganelli e altri strumenti di morte e tortura utilizzati in questo "Bel paese" per la repressione. Di classe sono le sofisticate armi utilizzate da questa "Bell'Italia" per la guerra esterna.
Quanta ipocrisia si nasconde dietro i termini "sicurezza", "giustizia", "pace"! Dove non c'è giustizia non c'è sicurezza e dove non c'è sicurezza non c'è pace.

La giustizia che vogliamo non è quella dei tribunali, è giustizia sociale.
La sicurezza che vogliamo è quella di vivere con dignità la nostra vita, senza doverci vendere per il profitto, senza più essere costretti a contare i nostri morti sul lavoro.
La pace che vogliamo è la pace fra i proletari, indipendentemente dalla provenienza, perché solo restando uniti si può vincere la guerra che i padroni muovono contro di noi su tutti i fronti.

IL PROLETARIATO NON HA NAZIONE
INTERNAZIONALISMO, RIVOLUZIONE

Rete Antifascista Perugina