No alla messa fuori legge del comunismo

La persecuzione dei comunisti colpisce la libertà politica di tutti noi


Con questa dichiarazione vogliamo denunciare la continua e subdola persecuzione che da più di venti anni le autorità italiane conducono contro un gruppo (e contro chi è stato ritenuto ne facesse parte) che con determinazione lavora alla ricostruzione del partito comunista: il gruppo politico, cioè, che è sorto alla fine degli anni ‘70, promuovendo prima il Coordinamento Nazionale dei Comitati contro la Repressione (con la rivista Il Bollettino) e poi la rivista Rapporti Sociali e la omonima casa editrice di Milano, e che quindi, dal 1992, ha dato vita all’organizzazione nazionale Comitati di Appoggio alla Resistenza - per il Comunismo (CARC), da cui, nel 1999, si è staccata la Commissione Preparatoria (CP) del congresso di fondazione del (nuovo) Partito Comunista Italiano (nPCI), gruppo politico la cui continuità è impersonata dal più noto dei suoi esponenti, Giuseppe Maj.

 

Riepiloghiamo i passaggi giudiziari salienti della persecuzione con cui le autorità hanno cercato di eliminare il gruppo e ne hanno ostacolato l’attività.

 

1. Bergamo: 1981 - 1987.

Nel 1981 la Procura di Bergamo accusa Giuseppe Maj (e altre due persone) di associazione sovversiva “avente lo scopo di stabilire violentemente la dittatura di una classe sociale e di sovvertire violentemente gli ordinamenti economici e sociali costituiti nello Stato italiano”. Solo sei anni dopo, nell’autunno 1987, il giudice istruttore pronuncerà sentenza di assoluzione.

 

2. Venezia: 1985 - 1991.

Pendente ancora quella prima inchiesta, nel febbraio del 1985 la Procura di Venezia fa arrestare Giuseppe Maj e numerosi altri, proseguendo con altri arresti nei mesi successivi, accusandoli “del delitto di cui all’art. 270bis per aver promosso, organizzato, diretto un sodalizio avente per obiettivo il mutamento, con mezzi violenti, dell’ordinamento giuridico costituzionale della repubblica”. Tutta la redazione de Il Bollettino e i più stretti collaboratori finiscono così in carcere. Dopo lunghi periodi di detenzione (un anno per Giuseppe Maj) e, successivamente, di sottoposizione all’obbligo di presentazione all’autorità di p.s. e di privazione del passaporto (due anni per Giuseppe Maj), finalmente, nell’autunno del 1991, tutti gli imputati vengono assolti dalla Corte d’Assise di Venezia - che aveva, in precedenza, anche cercato di disfarsi del processo inviandolo a Milano - addirittura nella fase predibattimentale (senza cioè che si desse inizio al processo vero e proprio), essendo assolutamente evidente, fin da subito, che il delitto di cui tutti erano accusati neppure “sussisteva”.

 

3. Milano: 1989 - 1990.

Prima di questa sentenza, nell’aprile del 1989, si muove anche la Procura di Milano con l’abituale accusa di associazione sovversiva, corredata di perquisizioni, anche nella sede della Casa editrice, di ordini di accompagnamento in Caserma, interrogatori e sequestri di materiale (che facevano seguito a intercettazioni, pedinamenti, rogatorie internazionali). I sei imputati ( tra cui Giuseppe Maj) ed i ventidue indagati vengono poi prosciolti dal giudice istruttore, nel gennaio 1990, ancora perché “il fatto non sussiste”.

 

4. Roma: 1999 -2001.

Assorbito lentamente l’impatto di questi esiti disastrosi per la pubblica accusa, nel 1999 si attiva la Procura della Repubblica di Roma, questa volta con imputazione doppia (!!), articoli 270 e 270 bis, “per avere organizzato un’associazione denominata (nuovo) Partito Comunista in forma clandestina, la quale si propone il compimento di atti di violenza al fine di eversione dell’ordine democratico”. Vengono eseguite, da Carabinieri e Polizia, ben 90 perquisizioni domiciliari con sequestri di varia documentazione politica, di computers e materiale informatico. Tutti i perquisiti, poi, sono sottoposti a interrogatorio, e la Procura chiede anche il prolungamento del termine di durata delle indagini, per giungere, infine a chiedere al Gip ... un ulteriore provvedimento di archiviazione, effettivamente pronunciato il 4 settembre 2001.

 

5. Roma: 2001 - ancora in corso?

La stessa Procura, però, dopo soltanto un paio di mesi, richiede la riapertura delle indagini nei confronti di una ventina dei già prosciolti (tra cui Giuseppe Maj) e questo sulla base di rapporti della Digos e dei Carabinieri depositati in altre inchieste parallele, certamente non nuovi per gli inquirenti. Deve essere ricordato che l’attività del gruppo è sempre stata costantemente oggetto di indagini da parte dei reparti speciali di Carabinieri e Polizia: così, negli atti della inchiesta milanese, di cui diremo più avanti, si trovano intercettazioni telefoniche effettuate dai Ros di Napoli, su autorizzazione (nell’ambito di procedimenti mai comunicati agli indagati) di quella autorità giudiziaria, che si sovrappongono e intrecciano (siamo nel 1999) con quelle effettuate su disposizione delle autorità giudiziarie di Roma e Milano.

Comunque, essendo oramai ampiamente decorso anche il termine massimo di durata (2 anni) delle indagini “riaperte”, senza che alcun avviso sia pervenuto agli indagati, si deve presumere che anche questo ulteriore “esame” si sia concluso con un’archiviazione.

 

6. Milano: 1999 - 2001.

Come già accennato, nel 1999 la Procura milanese pensa bene di muoversi ancora, indagando più di cento persone, fra cui numerosi appartenenti al gruppo. Abituale l’imputazione, 270 bis, abituali i pedinamenti, le intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali, abituali le rogatorie internazionali, e identica la conclusione: richiesta di archiviazione, disposta dal Gip il 22 ottobre 2001.

 

7. Napoli, Bologna, Parigi: 2003 - ancora in corso.

Il moltiplicarsi delle iniziative e competenze territoriali non ha oramai più limiti. E così assistiamo, nel giugno 2003, a decine di perquisizioni fra Francia, Svizzera ed Italia, e ad un nuovo arresto di Giuseppe Maj, in compagnia di Giuseppe Czeppel, questa volta da parte dell’autorità giudiziaria francese. Giuseppe Maj e altri, infatti, preso atto della costante opera di “disturbo” della loro attività politica da parte degli inquirenti italiani, si erano resi irreperibili. La Procura di Napoli, però, che imputava a ognuno dei suoi indagati, nuovamente, l’art. 270 bis “quale appartenente all’associazione clandestina agente sotto la denominazione di CP - Commissione Preparatoria del congresso di fondazione del (nuovo) Partito Comunista Italiano”, e la Procura di Bologna, che nulla imputa, ma che tuttavia chiede una perquisizione per rogatoria, attivano i magistrati dell’antiterrorismo francese, che, nonostante l’assenza di provvedimenti restrittivi italiani, pensano bene di sopperire, loro direttamente, a questa mancanza (si sta o non si sta costruendo l’Europa, perbacco!), arrestando Maj e Czeppel (che, con chiarezza, rivendicano e ribadiscono la loro appartenenza alla Commissione Preparatoria) col pretesto del possesso di falsi documenti di identità, possesso indispensabile per chi si vuole rendere irreperibile, contestando loro - incredibilmente - la “associazione di malfattori al fine di preparare atti di terrorismo”. E così di nuovo carcere fino a Natale 2003, e poi obbligo di soggiorno, e, addirittura, di residenza in una specifica abitazione, nonché di presentazione all’autorità di p.s., e le indagini francesi e napoletane continuano.

 

8. Bologna: 2003 - ancora in corso.

Ma nello stesso tempo la Procura di Bologna avvisa che, successivamente (!) alla perquisizione ed al sequestro di tutto quanto di scritto e leggibile c’era nella casa parigina di Maj, lo sta indagando, insieme ad altri (una decina), per 270 bis e per banda armata, reati commessi in Emilia, altrove ed in Francia!

 

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Questo costante moltiplicarsi e intrecciarsi, nel corso di decenni, di provvedimenti giudiziari, di provvedimenti variamente privativi e/o limitativi della libertà personale, di sequestri di ogni sorta di documentazione politica, di computers (oramai fondamentali strumenti di comunicazione e di informazione), merita qualche riflessione.

 

Innanzitutto balza agli occhi come il proliferare di incriminazioni e procedimenti non abbia mai portato ad un dibattimento: la sola Corte cui l’accusa ha avuto il coraggio di rivolgersi, la Corte di Assise di Venezia, ha ritenuto di non dover neppure procedervi, essendo immediatamente lampante l’insussistenza della pretesa associazione con finalità di terrorismo!

 

Ma, tuttavia, degli effetti, questi procedimenti li hanno senz’altro prodotti: lunghe privazioni di libertà per molti - non solo per Maj; intromissioni nella vita privata e lavorativa (intimidazioni dunque); danni economici considerevoli; ostacolo allo svolgimento dell’attività politica (attraverso limitazioni della libertà di movimento e di incontro, sorveglianza costante - con effetto intimidatorio e dissuasivo, sequestri di archivi, corrispondenza, libri e apparati per scrittura, informazione e comunicazione); emarginazione mediante la etichettatura, indotta dalla ripetizione delle imputazioni come “sospetti terroristi”, etichettatura che si combina con le sempre più aggressive campagne mediatiche di giornali e TV sull’“allarme terrorismo”, tese ad accreditare una sorta di equazione tra ogni forma di radicale opposizione all’ordinamento capitalista e terrorismo stesso (peraltro riferendosi, con questo termine, a fenomeni assolutamente diversi e non sovrapponibili).

 

In realtà, dunque, chi ha tirato le fila delle diverse “operazioni” ha cercato di provocare una sorta di “messa fuori legge” dell’attività politica del gruppo di cui stiamo parlando, tesa alla ricostruzione di un vero partito comunista in Italia.

 

D’altra parte, proprio la insussistenza, verificata nel corso di decenni di inchieste, di qualsivoglia forma di attività terroristica - quale che sia l’accezione del termine adottata - da parte degli appartenenti al gruppo, è la riprova che - come già abbiamo visto - altro è stato l’interesse inquisitorio: colpire e ostacolare, “illegalizzare”, nei fatti, chi ancora, ostinatamente e coerentemente, si muove nel solco della tradizione comunista e continua a porsi il problema del partito, con la determinata volontà di ricostruirlo. Insomma, “il comunismo è morto”, ma le autorità continuano a perseguitare i comunisti, con l’accortezza, e la cautela, però, di imputarli ufficialmente come terroristi.

 

E questa subdola “messa fuori legge” rappresenta una decisa chiusura autoritaria di fondamentali spazi di libertà di pensiero e di attività ed organizzazione politica, spazi a suo tempo riconquistati con la vittoria della Resistenza sul nazifascismo, e che costituiscono il fulcro della Carta costituzionale.

 

Ma tale problema non può che riguardarci tutti, giacché gli spazi di libertà e di organizzazione riguardano proprio tutti noi, e la loro chiusura, anche se attuata apparentemente solo per alcuni, è già chiusura anche per noi.

 

Il nostro è dunque un grido d’allarme rivolto a ogni coerente democratico, tanto più che le restrizioni degli spazi di agibilità politica, e, comunque, di libertà, che lo Stato italiano sta da anni perseguendo, trovano ora un potente moltiplicatore nella guerra, che non solo ha spezzato, con la forza dirompente di un golpe, un principio fondamentale e immodificabile del nostro ordinamento costituzionale, ma estende - sotto la devastante guida USA - la logica di annientamento del nemico anche all’interno del Paese. E, d’altra parte, all’interno del Paese cresce grandemente il malessere dovuto alla distruzione dei meccanismi di sicurezza sociale, al pesante abbassamento dei salari reali, alla disoccupazione e alla totale precarizzazione dei rapporti di lavoro, alla crisi dell’apparato produttivo. E anche tali dati non possono che legarsi alla crescente campagna d’ordine e, possiamo dire, al tentativo di “militarizzazione” (quantomeno nei valori di riferimento) della società.

 

La caduta delle garanzie giuridiche vede, ed è gravissimo, la creazione di un “doppio” diritto, con un diritto speciale per gli immigrati, che prevede persino forme di sostanziale detenzione amministrativa; mentre a livello internazionale, e in specifico europeo (oltre che USA), si assiste ad una produzione normativa, da parte direttamente dell’Esecutivo, che pone fuori legge organizzazioni politiche, di varie parti del mondo, impegnate nella lotta per la sovranità nazionale, l’indipendenza, e contro regimi oligarchici e fascisti. Addirittura si è giunti alla messa fuori legge di un partito, come Batasuna, presente non solo nel Parlamento dello Stato spagnolo ma anche nello stesso Parlamento europeo.

 

Se questo è il contesto, appare, allora, ancora più necessario prendere posizione contro la persecuzione, che abbiamo ampiamente descritto, dei Carc, della Commissione Preparatoria, del (nuovo) Partito Comunista Italiano. Infatti, anche se in moltissimi punti non condividiamo le loro analisi della situazione e i loro obiettivi politici, non possiamo dimenticarci che è comunque nostro interesse, diretto ed immediato, difendere il diritto alla piena libertà di espressione e di organizzazione politica, giacché la compressione degli spazi di libertà non può che avere un devastante effetto per tutti. E questa difesa è un tassello del più vasto, e necessario, impegno contro la decisa marcia del modello di Stato occidentale verso forme autoritarie, discriminanti e violentemente belliciste.

 

Milano, luglio 2004

Avv. Giuseppe Pelazza dell’Ordine degli avvocati di Milano